PAUL FEIG: «GHOSTBUSTERS? CE L’ABBIAMO MESSA TUTTA »

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Come sempre, l’ultima parola ce l’ha il pubblico. Perché, al debutto negli States, Ghostbusters, diretto da Paul Feig, si è piazzato al secondo posto negli incassi del week-end, riuscendo a spazzar via quelle (premature) critiche che, fin dal primo trailer pubblicato su YouTube, lo avevano accompagnato fino alla release. Da noi il reboot del film cult uscito nel 1984 arriverà in sala il 28 luglio, ma intanto, lo stesso regista Paul Feig, nella nostra intervista, ci ha detto che: «Ghostbusters è un omaggio ai fan di ieri e di oggi. Abbiamo rispettato quel logo, in modo che le nuove generazioni provassero la stessa emozione che abbiamo provato noi all’epoca». Per buona pace degli haters, dei polemici da social network, dei contrari a prescindere.

Paul, com’è riuscito a realizzare questo reboot, dopo che Dan Aykroyd ha inseguito il progetto per anni?

Tutto è partito da una telefonata di Ivan Reitman. Voleva un sequel del film, con Aykroyd produttore esecutivo. La sceneggiatura di partenza però non mi ha fatto scattare la scintilla, e Amy Pascal, chiamandomi, negli uffici della Sony, mi ha fatto notare che poteva diventare un grande franchise. Nonostante sia stato pericoloso farlo per via della sua importanza cinematografica, riflettendo, ho pensato che la cosa giusta fosse fare un reboot al femminile, dal mio punto di vista, ripartendo da zero, senza vincoli.

Punto di forza, realizzare un film al femminile.

In realtà ho sempre voluto fare un film di successo ma al femminile. Il dibattito è forte, perché Hollywood ha creato una situazione dove i ruoli buoni per le donne non ci sono. E quei pochi che vengono scritti allontanano il pubblico maschile dal film. Se i titoli sono validi il pubblico li va a vedere, è tutta una questione di scrittura dei personaggi. Devo ringraziare la Sony per avermi consentito di realizzare qualcosa di grande, in questo senso.


Infatti, le parole sul web, sono sembrate dei gravi attacchi misogini.

Finisco sempre nei guai quando sostengo ciò che dico o penso. Le persone sono seccate perché abbiamo toccato questo classico. Il problema è che il livello di critica è stato profondo e, le lamentele legittime, sono state sfruttate come bandiera. C’è un livello di animosità che infatti definisco misogino. Un attacco al vetriolo contro questo film che mai si era riscontrato in remake precedenti. Non voglio tacciare chi non sia d’accordo, però gli attacchi, anche misogini, stato eccessivi e forti.

Come giudica le critiche arrivate su YouTube?

Il nostro unico obbiettivo è stato quello di realizzare un film divertente. Però, poi, è diventato un caso assurdamente ”politico”. È stato deprimente leggere tutte quelle critiche sul fatto che l’avessimo realizzato solo per ”far cassa”. Non ci scordiamo che gli Studios realizzano film per incassare. È il regista che deve dargli un tocco in più, rendendolo speciale per il pubblico.

Quali tratti distintivi avete voluto mantenere? Come vi siete organizzati a livello di sceneggiatura?

Essendo fan del film originale, scrivendo la sceneggiatura, abbiamo pensato: quali sono le cose di cui non possiamo fare a meno? La canzone? La macchina? Lo zaino? Il logo? Abbiamo rimesso nel film questi elementi in modo diverso e più fresco, parlando della loro storia, accennando a loro in modo rispettoso. Volevamo far si che i fan capissero il nostro amore, mentre le nuove generazione avrebbero capito come sono nati, quei simboli. Ce l’abbiamo messa davvero tutta.

I reboot, i remake, i sequel, possono avvicinare le nuove generazioni ai film cult del passato?

Direi di sì: in questo modo si liberano le nuove generazioni dalla conoscenza obbligata dei film precedenti. Di Ghostbusters ce ne sono stati due, accettati dal pubblico in modo diverso. Trent’anni dopo non potevamo essere legati ancora a quell’idea. Abbiamo dato alle nuove generazioni quella che era la nostra sensazione all’epoca. E le polemiche forse derivano dal fatto che gli intolleranti non vogliono che le nuove generazioni provino lo stesso entusiasmo. Non giudico se questo Ghostbusters è come il precedente: come ha scritto il Time, i reboot sono come le canzoni della memoria cantate in altri modi, da altre voci. Sono letture diverse di intendere e di interpretare. Il nuovo non deve per forza essere brutto.