PERCHÉ RIVALUTARE “BY THE SEA”

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Se siete spettatori impazienti e distratti, se guardate un film controllando Whats App, passate oltre. By the Sea non fa per voi. Se avete invece voglia di abbandonarvi a un ritmo lento, ipnotico suggestivo che va sfacciatamente contro ogni regola commerciale e non vi lascerete influenzare dai commenti negativi che avrete certamente sentito, allora è probabile che il terzo film da regista di Angelina Jolie vi piacerà molto. Quanto è piaciuto a me. Molto più interessante del suo precedente e prevedibile, Unbroken, facilmente classificabile e meglio accolto da pubblico e critica, By the Sea non è privo di difetti ma la sua sincerità è a tratti sconcertante. Se invece di Angelina – qui per la prima volta anche interprete di un suo film – a dirigerlo fosse stato qualcun altro, sicuramente i critici, soprattutto americani, sarebbero stati più benevoli. Ma per chiunque altro trovare i soldi per realizzare un progetto tanto anomalo sarebbe stato difficile. Jolie ha aggiunto qui Pitt al suo cognome e scritto una storia, reminiscente della Nouvelle Vague francese, che potrebbe essere il riflesso oscuro della sua vita con Brad, raccontando con pochissimo dialogo un momento nel matrimonio in crisi di una coppia sposata da quattordici anni.

Un viaggio nel sud della Francia – isola di Gozo, a Malta, nella realtà – potrebbe essere l’occasione di un improbabile riavvicinamento. Lui è uno scrittore di antico successo che ora beve troppo e vorrebbe usare questo intervallo vicino al mare per tentare di riprendere a scrivere. Lei è un’ex ballerina che cerca un illusorio equilibrio negli psicofarmaci. Elegante e ancora bellissima, ma la sua spettrale magrezza tradisce un dolore che non ha saputo elaborare. In un albergo che affaccia sul mare, i due eseguono una rarefatta danza macabra, puntualizzata da piccoli gesti che raccontano il reciproco disagio. Quasi impercettibili ma rivelatori. Un paio di occhiali di lei che lui ripetutamente risistema su un tavolo o la macchina dascrivere di lui che lei meccanicamente sposta. La bellezza del luogo, esaltata dalla fotografia dell’austriaco Christian Berger, più volto prezioso collaboratore di Michael Haneke, accresce per contrasto il senso di inadeguatezza dei personaggi. Lui trascorre molto tempo in un bar in compagnia dell’anziano proprietario, lei osserva il mare dal balcone ed esce sempre meno.

Ma l’arrivo nella stanza accanto di una giovane coppia francese, Mélanie Laurent e Melvil Paupaud, sposati da poco e continuamente impegnati a fare sesso, innesca in lei – grazie ad un provvidenziale foro nella parete divisoria – un meccanismo morboso di voyeurismo e rimpianto che finisce per coinvolgere entrambi. E lentamente anche noi: perché Jolie e Pitt portano inevitabilmente nel film il bagaglio di informazioni che abbiamo sulla loro vita e, quando i personaggi ricordano un trascorso di passione e di gioiosa sessualità, è difficile non immaginare la loro reale, forse passata, vita sessuale. Cosa li abbia spinti a questa cruda esposizione di una loro esistenza parallela non lo so, ma il risultato è affascinante. E l’ambientazione anni Settanta aggiunge una nota in più di nostalgia. Come il ricordo di un ricordo in uno specchio infranto.