ROMAFF11, “HELL OR HIGH WATER”: FIGLI DEL TEXAS

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Cosa rende un film “bello”? La storia? Fondamentale. La musica? Ci vuole, sempre. Gli attori? Dipende. La regia? Un occhio capace può dar vita a qualsiasi immaginazione. Insomma, un buon film, qualora lo si incontri, accantonando i sacrosanti pareri soggettivi, lo si nota subito, perché tutti quegli elementi, se uniti, creano l’illusione perfetta in grado di tenerci incollati alla sedia per un paio di ore. E il regista David Mackenzie, coadiuvato dalla sceneggiatura di Taylor Sheridan (autore di una sorta di ”quadrilogia della frontiera”, avendo già scritto Sicario e i prossimi Soldado, diretto dal nostro Stefano Sollima, e Wind River, con Jeremy Renner e Jon Bernthal), vola dalla sua verde Inghilterra per atterrare tra la polvere e le casette basse del Texas, dirigendo il bellissimo Hell or High Water. La vicenda è di quelle nude e crude e, proprio per questo, efficace e viscerale. Due fratelli, Toby e Tanner, dalle camice sudate e dalle vite disgraziate, organizzano, compiendole in modo più o meno riuscito, una serie di rapine lungo il Texas Occidentale. Poco furbi ma non cattivi (o almeno uno dei due…), sulle loro tracce c’è il ranger Marcus, affiancato dall’agente Alberto, che, tra motel da quattro soldi e dinner puzzolenti, li braccherà fino a guardarli negli occhi.

Presentato alla Un Certain Regard di Cannes 2016, alla Festa del Cinema di Roma, e preceduto dall’essere, nel 2012, uno dei film inseriti nella Black List di Hollywood, Hell or High Water è, probabilmente, uno dei migliori film indie dell’anno. Sfugge dalle etichette di genere ma, contemporaneamente, pare essere un film degli anni 70′ o ’80 , di quelli in cui una macchina e un’autostrada possono essere le tue uniche alleate. Specialmente se sei in Texas, dunque negli States più profondi, dove tutto è spietato e arido, dove non c’è passato né, tantomeno, futuro. Dove, di padre in figlio, si tramandano solo miseria e whiskey da quattro soldi. Con le musiche curate da Nick Cave e Warren Ellis (potrebbe esserci di meglio?), la pellicola di Mackenzie è come una fisarmonica, costipandosi e allentandosi di nuovo, con il ritmo che respira profondamente, portando i personaggi verso un destino già scritto sulle nuvole. Personaggi dimenticati, reietti e sporchi. Ma pure splendidamente scritti e interpretati da un tris di ”uomini durissimi”: Chris Pine e Ben Foster nella parte dei due fratelli, mentre in quelli del ranger uno stropicciato e magistrale Jeff Bridges. Loro tre, sotto il cielo texano perennemente in rivolta, sono il frutto di una certa America, in cui ancora si ”gioca” a Indiani e Cowboy, con la pistola sempre in tasca che non si sa mai. C’è, nel film, la questione delle armi da fuoco, c’è il senso di confine e di libertà, che in certi sputi di terra dipende solo da due cose: se hai una pozza di petrolio sotto la veranda e, soprattutto, se hai il cannone più grosso del tuo vicino. Ed è questo che Hell or High Water ci dice: non c’è progresso, non c’è modernità che tengano. Gli Stati Uniti sono questi: luci al neon, birra calda e disperazione. Con un american dream ucciso a colpi di fucile.