Lea, il tv movie di Marco Tullio Giordana, apre ufficialmente la nona edizione del RomaFictionFest prima di approdare su Rai 1 il prossimo 18 novembre. Una storia vera che testimonia il coraggio di due donne, Lea Garofalo e sua figlia Denise. Donne che hanno pagato un prezzo altissimo per dire no alle regole criminali della ‘Ndrangheta
Marco Tullio Giordana, regista dell’acclamato La meglio gioventù, film che ha aperto alla serialità nostrana nel 2003, raccontando l’Italia grazie alle vicende private di una famiglia romana, torna sul piccolo schermo con la vera storia di una donna coraggiosa, Lea Garofalo, testimone di giustizia dal 2002 che ha pagato con la vita il suo rifiuto di vivere secondo le regole d’onore della ‘Ndrangheta. Un political crime, dallo stile prettamente televisivo che si riallaccia però al cinema civile della tradizione italiana, apre dunque questa nona edizione del RomaFictionFest, raccontando le insensatezze ed i limiti di una parte del sistema giudiziario italiano insieme all’orrore dei codici della criminalità, in bilico tra tradizioni religiose macchiate dal sangue, regole prettamente patriarcali e codici non scritti da rispettare.
Ma Lea (Vanessa Scalera) non vuole questa vita né per sé né per sua figlia Denise (Linda Caridi). Due donne la cui unica colpa risiede nell’essere nate in un contesto sociale marcio, in una terra viziata da sistemi criminali reiterati nel corso di generazioni, come una tradizione familiare da tramandare di padre in figlio. Lea incarna una vicenda tipicamente (e tristemente) italiana. «Lo Stato non è quel blocco compatto del quale si parla in generale. Una sua parte nella vicenda di Lea è stata impeccabile sotto il profilo investigativo e processuale » precisa però il regista. Ancora una volta, dunque, Marco Tullio Giordana, usa una parabola personale, intima, al pari di quella di Peppino Impastato ne I cento passi, per raccontare qualcosa di più grande. «Non vorrei insistere sul fatto che Lea conoscesse I cento passi. Mi sembra una civetteria. Ma il fatto che abbia fatto vedere il film a sua figlia, quando aveva all’incirca quattordici anni, mi ha colpito moltissimo quando l’ho scoperto. È come se avesse voluto avvisare Denise di cosa l’aspettasse », commenta il regista milanese, lontano da qualsivoglia autocelebrazione.
Da Petilia Policastro, terra natia di Lea, passando per Milano, Ancona o Campobasso, seguiamo la donna e sua figlia nelle peregrinazioni forzate intraprese per sfuggire a quel destino segnato dalla morte scelto per lei da uomini minuscoli. Quello che ne esce è il ritratto di una donna eccezionale seppur nella sua semplicità. Uno spirito libero, mostrato nella sua incontenibile energia giovanile e nella determinatezza della maturità, grazie ad una narrazione asciutta, quasi scarna, che non lascia spazio ad un’emotività ruffiana o ricattatoria ma che colpisce per la sua capacità di costruire un legame profondo tra chi guarda e le due protagoniste. Perché Lea non è solo la storia della testimone di giustizia uccisa nel 2009 ma anche quella di Denise, oggi giovane donna, che dalla madre ha ereditato quella forza e coraggio necessarie per opporsi ad una vita imposta da altri, o per denunciare il padre, ancora minorenne, reo di averle ucciso la madre. «Denise ora è in un programma testimoni strettissimo. Ho avuto contatti con lei solo attraverso il suo avvocato e Don Luigi Ciotti. Ha sempre saputo quello che stavamo facendo. Mi sarebbe piaciuto vedere il film con lei e le persone che le sono vicine. Vive in un mondo blindato e a mondo suo anche lei sta scontando un ergastolo. Spero che il film le riporti un po’ dell’amore della madre » ha aggiunto Marco Tullio Giordana, autenticamente partecipe alla storia di Lea e Denise come si evince dal suo racconto, misurato e, al tempo stesso, emozionato.
Una vicenda di cronaca nota all’opinione pubblica, entrata nelle nostre case attraverso i filmati delle telecamere di sicurezza del Comune di Milano mandate in onda nei servizi dei notiziari che riprendevano le ultime ore di vita di Lea prima di essere uccisa. E Marco Tullio Giordana ricostruisce quelle sequenze realizzando alcuni dei momenti più intensi dell’intero film. «Sono immagini brutte, sgranate che mi toccarono molto quando le vidi. Viviamo in un Grande Fratello ossessivo ma che in quell’occasione riprese gli ultimi atti di vita di una persona. Quella di Lea è una storia che in fase di sceneggiatura non ha avuto bisogno di aggiunte perché era già di suo straordinariamente colma di colpi di scena ». Lea non è un film su una vittima ma la celebrazione del coraggio e della voglia di libertà di una donna testarda e forte che continua a vivere in quella stessa figlia che tanto ha amato e protetto.