Il Premio Oscar Paul Haggis, protagonista di una delle Masterclass del RomaFictonFest, ha presentato al pubblico capitolino Show Me a Hero, la miniserie ideata dal creatore di The Wire, David Simon ed interamente diretta dal regista di Crash
Una storia vera per raccontare uno spaccato di America del finire degli anni Ottanta che assomiglia incredibilmente all’America di oggi. Per farlo David Simon, brillante ideatore di una delle serie tv più influenti di questi anni, The Wire, ha deciso di far rivivere nel piccolo schermo la vita di Nick Wasicsko, ex poliziotto divenuto consigliere comunale ed eletto a sindaco di Yorkers, New York, a soli ventotto anni, partendo dal libro, del 1999, della giornalista del New York Times, Lisa Belkin. Wasicsko si troverà stretto tra l’incudine (l’elettorato) e il martello (le leggi da far applicare) di un’incarico faticoso, dove la strada per il compromesso è in salita. «Ho sempre voluto dirigere qualcosa scritto da altri ma è molto difficile trovare un copione di originale. Avevo appena finito la preproduzione di un progetto mai decollato e quando mi è arrivata voce della sceneggiatura di David, ho detto ai miei agenti di dirgli subito di sì senza neanche leggerla, chiedendogli anche di poter dirigere tutti e sei gli episodi. Inoltre ho avuto la fortuna di collaborare con due sceneggiatori, che sono anche i produttori della serie, talmente fantastici che non c’è stato bisogno di apportare modifiche sostanziose in fase realizzativa » ha dichiarato Paul Haggis, il regista premio Oscar in questi giorni a Roma come protagonista di una delle Masterclass del RomaFictionFest.
Realizzata in sei parti per la HBO, la serie diretta da Haggis, recentemente al centro dei riflettori per le sue dichiarazioni contro Scientology nel documentario/denuncia di Alex Gibney, è strutturata per mostrare non solo le stanze del potere, ma anche le strade e gli abitanti di Yonkers, divisi dall’architettura della città in parti agiate e parti povere. Divisione che sta per essere abbattuta da una richiesta federale che impone la costruzione di case popolare in quartieri prevalentemente abitati da bianchi, in virtù di un’integrazione razziale che porterà i cittadini a scontrarsi e scagliarsi contro quel sindaco costretto a far applicare la legge nonostante le promesse della campagna elettorale. «Come esseri umani ci piace pensare di aver risolto problemi come il razzismo o il classismo ma non è così. Abbiamo fatto molto poco e continuiamo a fare molto poco. Nella serie parte degli abitanti di Yonkers viene relegata in queste torri di appartamenti che si trasformano in luoghi orribili. Luoghi che ci fanno pensare che si meritano di stare lì. Continuiamo a cercare di isolarci. Basta vedere cosa è successo ieri a Parigi. Più lo facciamo e più l’odio e la discriminazione dilagheranno. In Show Me a Hero un gruppo di persone ha provato ed è riuscita a fare la differenza con un grandissimo costo personale ».
Tra il timore della svalutazione degli immobili (ossessione a stelle e strisce), razzismo cieco, promesse elettori e lotta per i diritti civili la Yonkers degli anni ’80 descritta da Simons non sembra poi così diversa da quella dei giorni nostri. Basta guardare all’insensatezza delle morti che da Ferguson ad oggi non sembrano fermarsi, ai primi accenni al vetriolo delle campagne elettorali di candidati pronti a tutto pur di sedersi nello Studio Ovale o alla divisione, ancora nettissima, che separa l’America delle gradi occasioni dal suo profilo più tragico per renderci conto di come la storia di Nick Wasicsko sia servita a Simon per raccontare la fine dell’American Dream e la paralisi di un Paese che continua a lottare con gli stessi fantasmi di sempre. «Immagino che per gli Studios fare un film sull’edilizia popolare non sarebbe stato interessante. Grazie a network come la HBO le possibilità narrative si sono moltiplicate. La differenza sostanziale che ho riscontrato nel mio lavoro è la rapidità con la quale si deve girare, fino a sei o sette pagine di copione al giorno ».
A dare voce e corpo al giovane sindaco «un attore fantastico che abbiamo pregato di prendere parte al progetto », Oscar Isaac, lo sfortunato musicista folk di A proposito di David dei fratelli Coen, nuovo astro nascente del firmamento hollywoodiano grazie anche all’intensa prova data nell’inedito A Most Violent Year, al fianco di Jessica Chastain. Ad affiancarlo sul set un numero considerevole di fuoriclasse, da Alfred Molina nel ruolo del suo antagonista, il vicesindaco Henry J. Spallone, a Jim Belushi, il sindaco uscente Angelo R. Martinelli, fino al felice ritorno di Winona Ryder nel ruolo del Presidente del Consiglio cittadino, Vinni Restiano. «Un cast davvero sorprendente composto da quattrocento ruoli tra parti principale e piccolissime dove non c’è mai stata traccia di egocentrismo ». âShow me a hero and I will write you a tragedyâ cita un verso di Francis S. Fritzgerald dal quale il titolo della serie è tratto. La tragedia di un uomo e di un Paese si consuma sotto i nostri occhi accompagnata dai versi di Bruce Springsteen a riecheggiare come colonna sonora della fine di un sogno. «Una decisione collettiva. David è famoso per odiare la musica nei suoi lavori ma io, al contrario, credevo fosse necessaria. Abbiamo avuto uno scontro su questo ma in Springsteen abbiamo trovato un’unione perfetta » ha concluso il regista