Il Boss, James Gandolfini, Ennio Morricone. La Tv e il cinema, che ormai sono una cosa sola. Ecco il nostro incontro, durante la Masterclass al RomaFictionFest, con il grande Steven ”Little Steven” Van Zandt!
L’iconica bandana da pirata, giacca di pelle color sabbia e una camicia di tutti i colori del mondo. E poi sì, occhiali da sole calati sul naso, come ogni rockstar che si rispetti. Al RomaFictionFest è arrivata una leggenda vivente: Steven Van Zandt. L’inimitabile ”Little Steven”, infatti, è arrivato nella Capitale come presidente della giuria internazionale del Festival, lui che, oltre essere il compagno (e la chitarra, ma pure il mandolino) di Bruce Springsteen con la E Street Band – concerto dopo concerto, album dopo album, fin da Born to Run -, è il protagonista di due serie culto: I Soprano e Lilyhammer. Show che, per motivi differenti, hanno riscritto le regole del piccolo, grande schermo. Rivoluzionarie, applaudite. Talmente mitiche da essere, come ha esordito Steve durante la sua Masterclass: «Qualcosa che, forse, non vedremo più. Sono due serie uniche nel loro genere ». Perché uno come Little Steven, con un carisma talmente preponderante da permettergli di dirigere ”The Boss” Springsteen in un episodio della ”sua” Lilyhammer, è uno che ha saputo abbracciare ogni forma d’arte, dalla musica al cinema, fino alla TV e alla produzione televisiva. La lunga conversazione con lui, per l’appunto, ha toccato svariati tratti della sua carriera, partendo proprio dall’ultima serie suddivisa in tre stagioni e trasmessa in Italia su Sky Atlantic. «Guarda caso, ero in Norvegia quando mi hanno detto che una coppia aveva scritto per me una storia con protagonista un mafioso pentito ed entrato nella protezione testimoni, costretto a trasferirsi nella glaciale Lillehammer », ha spiegato un appassionato Van Zandt, «Lo show è completamente diverso da I Soprano, pur parlando di gangster. Inizialmente ci ho riflettuto, poi ho capito che questa era l’unica possibilità che avevo di fare, produrre e interpretare qualcosa da protagonista ».
La serie targata Netflix è un riuscito mix di humour, dramma e crime nordico. Pensare che, come ci ha raccontato Van Zandt, all’inizio doveva essere qualcosa di molto diverso: «Si era deciso di scriverla come una commedia, però non volevo un’impronta così. Dunque, abbiamo inserito momenti drammatici e tesi. Poi, il mio personaggio, Frank, doveva capire il norvegese… senza parlarlo! È una lingua così complessa il norvegese ragazzi… ». Una produzione tutt’altro che facile, che ha portato in Norvegia un nuovo modo di fare televisione: «Trattavano la sceneggiatura come una traccia invece che una cosa da seguire alla lettera, lì non esiste la cultura televisiva che abbiamo noi. C’è solo il cinema. Poi, certe scene, pure pericolose, le abbiamo girate con leggerezza. Impensabile fare cose del genere, senza stunt, negli USA ». Un successo per Van Zandt che, con lo show, è riuscito ad imporre una serie estera negli States senza che venisse doppiata o, come spesso accade, del tutto rifatta: «Abbiamo portato la cultura televisiva in Norvegia e, per la prima volta, hanno venduto un prodotto al di fuori della Scandinavia. Tra l’altro gli USA hanno trasmesso la versione originale: agli americano non piacciono i sottotitoli, siamo gente pigra, stravaccata sul divano. Eppure Lilyhammer è riuscito ad imporsi anche a casa mia ». Il successo della serie si deve anche (e soprattutto) a Netflix, in grado di arrivare, via cavo, a tutti gli abbonati, che possono vedere le puntate tutte insieme, una dietro l’altra, su qualsivoglia device multimediale. «Internet da accesso al talento sparso nel mondo. Questa è una vera e propria rivoluzione. Le puntate tutte insieme sono come un album, lavori sui singoli, ma poi escono tutte insieme », paragone più che azzeccato, quello di Little Steven.
La Masterclass si sposta su Bruce Springsteen e su quella puntata di Lilyhammer in cui lo ha diretto (l’ultima della terza serie, ancora inedita in Italia, ma trasmessa in anteprima al RomaFictionFest) e, a tal proposito, il rocker-regista ha detto che: «Mi piace fare e aggiungere qualcosa di nuovo nella mia vita. E quello era il momento giusto per mettere un po’ di creatività sul set, non solo in produzione. Nell’ultima puntata della terza stagione ho avuto anche Bruce, sì. Volevo dirigerlo io e, sono certo, che lui avrebbe accettato solo mia direzione ». I ricordi, poi, confluiscono inevitabilmente sulla storica serie de I Soprano, prodotta dalla HBO e andata in onda dal 1999 al 2007. Nello show ideato da David Chase, con protagonista il compianto James Gandolfini, Little Steven interpretava Silvio Dante, il fidato consigliere di Tony. «I Soprano è stata la più grande scuola televisiva, sia per un attore che per un regista », ha ricordato, commosso, Van Zandt, «Non mi sono reso conto che stavo contribuendo ad un momento storico fondamentale, è il tempo che mette tutto in prospettiva. La HBO ha creato un linguaggio adulto per un pubblico adulto. Poi Tony, cos’è? Un eroe o un cattivo? Interpretato da un grande Gandolfini. Ora, ogni programma, attinge a quello show, nonché ha segnato un’impronta nella cultura americana. Insomma, ha dato il via ad un’età d’oro per la Tv. Così come adesso sta facendo Netflix. Ed è bello aver fatto parte di entrambe queste rivoluzioni ».
Quando, nella terza parte della Masterclass, gli viene chiesto quali siano i suoi progetti futuri, Little Steven ha preferito non sbottonarsi troppo: «Non posso dire nulla, però dopo aver partecipato a qualcosa di straniero, ora sto lavorando su due prodotti americani. Insomma, faccio un lavoro straordinario, che sia rockstar o attore. Queste sono cose in cui ci si mette l’anima, mi fanno rendere conto cosa posso dare sia come essere umano che come artista ». Rockstar o attore. Quindi, musica e immagini, e chi più di lui Van Zandt può spiegarci la potenza di un’unione del genere? «La musica in Tv è fondamentale. In Lilyhammer l’ho controllata tutta e ogni scena, con una musica diversa, può essere trasformata. I brani sono un ulteriore elemento che va a completare la colonna sonora. Il tema del Il vento e il leone mi ha cambiato la vita, Connery in quel film è straordinario e la musica è strepitosa. Poi, come non pensare a Morricone e alle note degli Spaghetti Western? Lui scrive in modo da farti vedere quello che non si può vedere! ». Steven Van Zandt, poco prima di ritirare l’Excellence Award, ha inoltre deliziato il pubblico con una curiosità su I Soprano e su quel discusso, dibattuto, ricordato finale: «Mi chiedono spesso cosa penso di quel finale. Beh, vi posso dire quello che dissi anni fa a Vanity Fair, ovvero che quando girammo l’ultima scena il regista ci disse semplicemente: ”la giornata è finita, tornate a casa!” ». Sia I Soprano prima che Lilyhammer dopo, come detto, sono due serie arrivate in periodi televisivi ben delineati, che hanno contribuito – e continuano a farlo – ad azzerare il confine tra il piccolo e il grande schermo. E la dichiarazione finale del grande Little Steven è emblematica: «Quando guardo una serie mi piace essere sorpreso, mi piace imparare qualcosa da quello che ho davanti. Sono questi i motivi che mi fanno seguire uno show. Tra l’altro, con tutte le cose belle passante negli ultimi anni ormai è certo: non c’è più differenza tra cinema e TVv le regole estetiche sono le stesse ».