“Sicilian Ghost Story”, la recensione del primo film italiano a Cannes 70

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Italia/Francia/Svizzera, 2017 Regia Fabio Grassadonia, Antonio Piazza Interpreti Julia Jedlikowska, Gaetano Fernandez, Corinne Musallari, Vincenzo Amato, Sabine Timoteo, Andrea Falzone, Federico Finocchiaro, Lorenzo Curcio, Filippo Luna, Nino Prester Distribuzione BIM Durata 2h

Al cinema dal 18 maggio 2017

IL FATTO – Anni ’90, ma per Luna e Giuseppe, appena affacciatisi all’adolescenza, sono gli anni dell’innamoramento incontrollabile, anche se “mia mamma non vuole che esca con te”, perché Giuseppe è “il figlio dell’infame”, ovvero il pentito che vive nascosto non si sa dove. E la mafia se la prenderà con questo innocente ragazzino, sequestrandolo e rinchiudendolo in una casa di campagna costruita abusivamente. E a Luna non resta che reagire impotente, soffrire e fare strani sogni, quasi dei presagi, con la mente che urla e il corpo che reagisce male.

L’OPINIONE – Nel 2013 Fabio Grassadonia e Antonio Piazza esordirono proprio al Festival di Cannes con il premiato e sorprendente Salvo (Grand Prix e Prix Revelation della Semaine de la Critique). Ora vi tornano con una atroce storia criminale (con addentellati purtroppo di vita vissuta) ammantata di favola quasi gotica (i registi citano Hansel e Gretel). Tante le luci ma anche tante le ombre in questo loro secondo lungometraggio. Tralasciando queste ultime – ovvero un’impostazione ambiziosa che rinuncia alle necessità della fluidità narrativa per voler mettere dentro tutto (il realismo e il fantastico, la denuncia con la storia di formazione), l’insistita attenzione ai particolari e ai dettagli patetici, difetti di recitazione ancora acerba da parte degli interpreti più giovani – soffermiamoci comunque sulle luci che brillano, segni di polso e talenti assolutamente di prospettiva.

Come ad esempio il magico stato di sospensione delle riprese oniriche, con la cinepresa che si immerge fluidamente dalla terra alle profondità lacustri per poi risalire, ma anche le sequenze notturne con le amiche Luna e Loredana a scambiarsi messaggi con le torce a pila; l’attenzione alla natura – boschi, animali, laghi – esaltata dalla nitida fotografia di Luca Bigazzi, mentre la cronaca dei comportamenti quotidiani dei più giovani fa vedere quanto sia frutto di meditate osservazioni. Il soggetto è liberamente tratto da Un cavaliere bianco di Marco Mancassola inserito nel volume Non saremo confusi per sempre (Einaudi) e il budget è stato recuperato tra Italia, Francia e Svizzera (ecco spiegata la presenza anche di attori from Elvezia) più il Sundance e con intervento partecipe della regione Sicilia. Forse non è un esperimento riuscitissimo, ma gli errori – ribadiamo – sono dovuti a eccessi di generosità, di voglia di dire, e quindi disturbano decisamente meno.

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