TFF2015: “COUP DE CHAUD”, (IM)PIETOSO RITRATTO DI PROVINCIA

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In Concorso al Torino Film Festival c’è il nerissimo film diretto da Raphael Jacoult, ispirato ad una vicenda vera. Talmente vera, e attuale, da far venire i brividi

Coup de ChaudIncredibile (o forse credibilissimo, se abbiamo imparato a conoscere un po’ il mondo) ma vero, la storia del bellissimo Coup de Chaud è ispirata a fatti reali. Solo che il regista francese Raphael Jacoulot (questo è il suo terzo lungometraggio, dopo Barrage e Avant l’Aube) ha voluto cambiare nomi e luoghi, come si usa in certi casi. Magari per tatto verso i coinvolti, o magari per non far vergognare ancora di più quel microcosmo provinciale e dimenticato, capace di tirare fuori una cattiveria ottusa e sì, pericolosissima. Perché Coup de Chaud, costruito sulla sceneggiatura scritta da Julie Darfeuil e Lise Macheboeuf, è una sorta di Notre-Dame de Paris moderno e contemporaneo, è una caccia al diverso, è una sorta di graphic novel, per inquadrature, toni e colori, ma è soprattutto un film estremamente maturo. Attuale, potente, nerissimo.

Coup de ChaudCoup de Chaud parte da un paesino dall’imprecisato nome, sperduto sugli altipiani francesi, dove non piove da settimane. A detta della gente del posto, pare essere l’estate più calda degli ultimi trent’anni. I campi sono aridi, il bestiame ha sete, l’acqua scarseggia. Per ovviare alla siccità, sperando in un acquazzone (e arriverà, eccome se arriverà, ripulendo tutto, ma proprio tutto), la comunità locale, capeggiata dall’ignavo sindaco e nobile veterinario Daniel, decide così di acquistare una pompa idrica, in grado di far arrivare l’acqua direttamente da un laghetto della zona. Peccato che, una notte, la pompa sparisce e, questa comunità, da subito la colpa a Jospeh Bousou, un ragazzo del posto con un ritardo mentale, figlio di spiantati gitani. Bousou, fondamentalmente innocuo, è conosciuto da tutti e passa le giornate sulla sua macchinetta blu ascoltando musica a tutto volume. Ma, essendo sulla strada della “crescita”, comincia ad incuriosirsi, con insistenza, al mondo della “maturità”. Ai cittadini, gretti e chiusi, serve un capo espiatorio, trovando così, nello sfortunato Bousou, il profilo perfetto. Fino a quando non arriverà il tanto agognato (e a suo modo riparatorio) temporale.

Coup de ChaudNon sappiamo quanto ci sia di autobiografico nel film, qualora ci fossero elementi familiari al regista, eppure, anche senza una contiguità con gli eventi raccontati, Raphael Jacoult riesce, in una manciata di attimi, dopo la prima scena convulsa e premonitrice egista, a far calare lo spettatore nel clima del paese. Un clima afoso, secco, asfissiato dal caldo e da una presenza divenuta scomoda. E quando qualcosa diventa scomodo, ingombrante e inopportuno, lo si ghettizza, lo si allontana, lo si rinchiude. Come un odierno Quasimodo, l’indifeso Bousou – con una madre troppo accondiscendente, interpretata da Serra Ylmaz, attrice-feticcio di Ferzan Ozpetek – , si trova spaesato tra le maschere orride di una Corte dei Miracoli che muore di caldo, di invida e di accidia. Il film lo dirige benissimo Jacoult, come una fisarmonica allenta e contrae il ritmo, dilatando le inquadrature per poi restringerle sui volti sudati dei protagonisti, interpretati da un gruppo di attori, quelli della comunità, volutamente simili, per espressione, fisionomia, caratteristiche. Come delle fotocopie della stessa brutta copia. E poi c’è l’ottimo Karim Leklou, che da il volto a Josef Bousou; meritando una parentesi a parte, l’attore francese, con l’accento giusto, le “sporcature” giuste, spinge Coup de Chaud verso il confine che divide un buon film da un ottimo film, con una storia di “pochi” ma che pare tanto essere quella di tutti.

Damiano Panattoni