Ma chi era Chuck Wepner? Beh, era un pugile del New Jersey, soprannominato “Bayonne il sangunolento” – dalla cittadina in cui è nato e per la fragilità dei suoi vasi capillari – che negli anni ’70 combatté per il titolo mondiale dei pesi massimi resistendo nientemeno che 15 riprese con Muhammad Alì. Fu massacrato ma non andò al tappeto – anche se fu fermato per ko tecnico a una manciata di secondi dal gong finale – e la sua impresa ispirò Sylvester Stallone per la creazione di Rocky.
Il regista Philippe Falardeau (Monsieur Lazhar) riprende la sua vicenda e la racconta dal punto di vista e con la voce fuori campo del protagonista (cioè quella di Liev Schreiber). Film sul pugilato? Più che altro una storia di ascesa (da campione nazionale a combattente per il titolo: «Tu sei l’unico bianco nella top ten degli sfidanti, tocca a te», campione di strada diventato idolo), caduta (i tradimenti con divorzio, i sogni di gloria cinematografica con Stallone andati a ramengo, cocaina, spaccio e carcere), e resurrezione (accanto alla barista Naomi Watts, tra l’altro compagna nella vita di Schreiber: «Mi prendi per i fondelli?» «Non in questa vita»). Scorre sciolto come un film di Scorsese (ma senza la travolgente isteria compulsiva delle scene di violenza e la genialità della visione di questi) e ai reduci degli anni Settanta farà molto piacere la cura nelle memorabilia: dalle canzoni (Rock you Baby e tante altre), alla tv (Kojak), a Rocky. I sosia di Muhammad Alì e Stallone sono rispettivamente Pooch Hall e Morgan Spector. Menzione di merito infine per le doti recitative di Elizabeth Moss, nella parte della dignitosa e combattiva prima moglie del “sanguinolento”.