“THE HATEFUL EIGHT”: SU CIAK QUENTIN TARANTINO VE LO RACCONTA IN ANTEPRIMA!

0

Sul nuovo Ciak di gennaio, in edicola dal 31 dicembre, Quentin Tarantino presenta The Hateful Eight e ammette che è il suo film più politico: un western “da camera” con riferimenti alle tensioni razziali di oggi. Ecco in anteprima l’intervista che gli abbiamo fatto a Beverly Hills, nella quale ci svela che sogna l’Oscar già da Bastardi senza gloria

DI MARCO GIOVANNINI

La cover di Ciak di gennaio!
La cover di Ciak di gennaio!

Quando Quentin Tarantino è eccitato, parla ancora più veloce e le mani non si muovono, ma turbinano. Ora in una camera del Four Season Hotel di Beverly Hills sta facendo, come i bambini, il gesto della pistola con le dita, indice e pollice. «Non so se i western sono tornati di moda, io mica rifaccio I magnifici sette, bensì Gli odiosi otto, (lo dice in italiano, n.d.a.), c’è una bella differenza, mi pare ». La frecciata è per Antoine Fuqua, al lavoro sul remake del film di Preston Sturges, ispirato a I sette samurai di Akira Kurosawa. Se c’è una cosa che Tarantino veramente detesta, è far parte di un gruppo, diventare come gli altri. Sono passati tre anni dal suo ultimo film, Django Unchained, e per la prima volta nella sua carriera ne ha fatti due di seguito dello stesso genere, western. Spiega: «Dopo Django, mi sono reso conto che non era una esperienza finita. Avevo bisogno di approfondire, perciò mi sono rimesso alla scrivania. All’inizio il protagonista era di nuovo Django, ma ben presto, l’ho dovuto sostituire col maggiore Marquis Warren. Django sarebbe stato troppo onesto per la storia che avevo in mente, c’era bisogno di meno scrupoli morali ».

Per la terza volta consecutiva è alle prese con un film storico, ma lui assicura che non è una fuga dalla realtà, perché questo è il suo film in assoluto più politico. «I riferimenti con le tensioni razziali che viviamo oggi e con i tanti incidenti degli ultimi tempi sono evidenti, ma non ho seguito l’attualità, l’ho anticipata; è stata lei a seguire me ». Tarantino conferma che, anche se ha solo 52 anni, vuole ritirarsi allo scadere del suo decimo film. Per ora è a otto, anche se in realtà sarebbero felliniamente 8 e 1/2 (vedi riquadro a fianco). Dice: «Ogni regista, e di qualsiasi età, pensa di avere in sé almeno altri 5 o 6 film. Io preferisco pensare che ne ho solo altri due, in modo da renderli rari, preziosi e unici; opere, non semplici lavori. Non voglio diventare un mestierante ». E poi? «Farò lo scrittore: romanzi, saggi di critica cinematografica, forse commedie teatrali ». Sembra sincero, ma bisogna credergli o sta manipolando platea e realtà come nei suoi film? Luc Besson aveva fatto lo stesso proclama e invece ora a 56 anni sta per girare il kolossal di fantascienza Valérian and the City of a Thousand Planets, suo diciassettesimo film.

Quentin Tarantino
Quentin Tarantino

The Hateful Eight, comunque, può servire da anteprima al Tarantino ex regista e neoscrittore. La sceneggiatura – scritta a mano e poi copiata con un dito sulla storica Smith Corona del 1987 che usa dai tempi di Pulp Fiction – è la sua più letterariamente sperimentale, fin dall’incipit: «Sei, otto o dieci anni dopo la fine della guerra civile americana… ». È un puzzle in cui gli otto personaggi (che in realtà sono nove, perché c’è a sorpresa un altro “odioso”, cioè Jodi, interpretato da Channing Tatum), raccontano storie che è impossibile verificare, e addirittura c’è il dubbio che non siano nemmeno chi dicono di essere. «Volevo che il pubblico fosse disorientato, per aumentare la suspence. C’è un immanente senso di tragedia, tutti i personaggi hanno questa metaforica spada di Damocle che pende sulle loro teste, si capisce che prima o poi scatterà la violenza, ma non si sa quando, come e perché ».

È per questo che si è così arrabbiato quando la sceneggiatura due anni fa è stata pubblicata online. Non certo per motivi di segretezza (chi scrive, prima di visitare il set di Django Unchained in Louisiana, aveva ricevuto la versione integrale a casa via Federal Express), ma proprio perché non era definitiva. «Avevo deciso di sperimentare una nuova tecnica di lavoro: scrivere tre diverse versioni. Invece la prima è diventata di dominio pubblico. L’ho vissuta come una violenza enorme, alla stregua di essere paparazzato nudo ». Aveva deciso di accantonare il film, poi la reazione entusiastica a una lettura pubblica in un cinema di Los Angeles, gli aveva fatto cambiare idea. E ha scritto le altre due stesure, che gli sono servite a entrare nella testa dei personaggi. «Se vincessi un terzo Oscar per la sceneggiatura originale, avrei uguagliato Woody Allen. Oggi sono secondo, insieme a Charles Brackett, Billy Wilder, Paddy Chayevsky, non una brutta compagnia, no? ». Fred Raskin, il suo montatore dopo la morte di Sally Menken, rivela il metodo per individuare quale delle diverse riprese di una scena scegliere: «Quando vediamo i giornalieri, lo ascolto e lo osservo; se lo vedo ridere, allora quella è la scena buona. Quentin non è solo l’autore, ma anche il suo pubblico. È infallibile ».

The Hateful Eight
The Hateful Eight

Però a Tarantino piacerebbe vincere anche un Oscar come regista: «Francamente credo che lo meritassi per Bastardi senza gloria », ammette Quentin. Robert Richardson, il suo direttore della fotografia da Kill Bill in poi, pensa che l’aver voluto girare The Hateful Eight in maniera retrò con processo Ultra Panavision 70 in 65 millimetri, come Ben Hur, L’ammutinamento del Bounty, Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo, e l’ultimo di tutti, Kharthoum del 1966, sia un messaggio ai membri dell’Academy: «Guardate che sono un regista moderno, ma anche classico ». Idem, forse, per la scelta di lavorare per la prima volta con un grande compositore come Ennio Morricone. Stavolta oltretutto è stato più guardingo nell’elencare la sua solita valanga di citazioni, limitandosi a dire che c’è più Corbucci che Leone, e perfino l’eco di un classico come The Iceman Cometh di John Frankenheimer, oltre che naturalmente Ombre rosse di John Ford con la scena della diligenza in corsa fermata da John Wayne, come stavolta da Samuel Jackson. Ma che in realtà la dinamica con cui si dipana il mistero su chi siano gli otto protagonisti è simile a La cosa di John Carpenter, che aveva già ispirato il suo primo film, Le Iene. «Era il 1992, come tutti uscivo dagli anni Ottanta, probabilmente il periodo più repressivo del cinema americano dopo i Cinquanta. Ci voleva sempre il classico lieto fine. E la mia idea iniziale è stata rompere quella legge idiota, e cercare la stessa libertà che avevano gli scrittori di romanzi. E 23 anni dopo, posso dire di esserci proprio riuscito ».