Torino Film Festival 2017: tutti i premi

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Al comico, anzi tragicomico, di The Death of Stalin (Morto Stalin, se ne fa un altro, in uscita a gennaio), la giuria di Torino 35, presieduta dal sommo Pablo Larrain, ha preferito il dolore bizzarro dell’israeliano Don’t Forget Me di Ram Nehari, love story tra una anoressica e uno stravagante musicista, cui ha tributato il premio più consistente, mentre il film inglese (e francese) di Armando Iannucci si è consolato con il Premio Fipresci (quello della Stampa Internazionale). Al denso (quasi tre ore) e politico portoghese A fabrica de nada di Pedro Pinho è andato invece il Premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Migliori attrici: Emily Beecham per Daphne di Peter Mackie Burns (G.B.) e Moon Shavit (per il ricordato Don’t Forget Me) che stravince anche nella categoria Miglior attore, a Nitai Gvirtz.

Lorello e Brunello di Jacopo Quadri (uno dei direttori di montaggio più apprezzati nell’ambito del Nuovo Cinema Italiano) oltre a una menzione Speciale si guadagna anche il premio Cipputi, per il Miglior film sul mondo del lavoro; interessante la motivazione: “ …Il regista ci ricorda un modo di intendere il lavoro che spesso la nostra civiltà urbana continua a dimenticare (e a rimuovere) e lo fa attraverso il potente ritratto di due protagonisti consapevoli del proprio ruolo, della storia che li ha preceduti e del tempo che stanno vivendo…”. Si tratta della vita documentata di due contadini toscani che continuano imperterriti a coltivare la terra nel loro modo, contro ogni globalizzazione e modernizzazione tecnologica.

Chiusi i battenti, in attesa di sapere quel che riserverà il futuro (Emanuela Martini, la direttrice artistica è al suo ultimo anno di incarico e qualcosa si saprà solo quando verrà nominato il Nuovo Direttore del Museo del Cinema) salutiamo un Festival come sempre vivace ed eclettico, capace di accostare titoli per palati ultrafini e delicati ad altri da botta adrenalinica e pulp. Certamente a noi sono rimasti impresse nella retina e nella memoria, oltre ai citati altrove The Death of Stalin e Cento anni, anche la tensione che ha saputo costruire un cineasta russo, allievo di Sokurov, Kantemir Balagov, alla sua opera di debutto (già proposta a Cannes con premio Fipresci), lo straordinario Closeness. La storia di una famiglia ebraica all’interno della sua comunità in difficile convivenza con le altre tribù a Nalchik nel Caucaso, in particolare della 24enne Ilana, capace di tutto pur di non cedere sui principi e sulla sua autodeterminazione.

Infine ci ha colpito anche la chiarezza orientata di A voix haute di Stephane de Freitas e Ladj Ly, un documentario (che ricorda la stessa partecipazione ad altezza persone degli ormai lontani lavori di Nicolas Philibert) su un curiosissimo torneo di Eloquenza che si tiene alla periferia di Parigi all’università di Saint Denis, con studenti di tutte le razze e fedi che si sfidano in un clima di competizione ma anche di reciproca solidarietà. Esempio di ottimo cinema umanista e limpido, premiato infatti dal pubblico del TFF a dimostrazione di una maturità e una competenza davvero diffuse. Almeno sotto la Mole.

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