TORINO FILM FESTIVAL RISCOPRE I “MUSICARELLI”

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Un po’ di avventure dalla non fiction. Ovvero un documento serissimo per un archivio ideale della memoria nazionale (Nome di battaglia donna), un viaggio documentario e documentato su un fortunato genere pre-sessantottino, quello dei cosiddetti “musicarelli” (Nessuno ci può giudicare), infine un mockumentary, un falso documentario per reinventare su schermo un poeta-cabarettista emergente (Sono Guido e non Guido).

Ha cominciato a filmare nel 1976, con Perché droga e ancora oggi non ha smesso. Inguaribile ottimista, Cesare Segre (Alessandria, 1952) è convinto che il cinema sia utile, serva a conoscere, serva soprattutto a conservare la memoria della gente, di quel che ha fatto. Appartato, quasi “tignoso” nel suo rifiuto delle forme commerciali dell’intrattenimento, al TFF ha consegnato quest’anno uno dei suoi film più belli, ovvero necessari. Nome di battaglia donna, raccoglie i racconti (emozionanti e vivi, ancora sulla pelle) di otto donne impegnate nella Resistenza, come staffette o combattenti. I loro nomi sono Marisa Ombra, Carmen Nanotti, Carla Dappiano, Gisella Giambone, Enrica Core, Maria Airaudo, Rosi Marino e Maddalena Brunero. Segre le mette davanti alla macchina da presa e le fa parlare, semplicemente. Il mediometraggio (un’ora) è diviso come capitoli da immagini della natura. Pagine inedite di eroismo quotidiano non vissuto come tale, per non dimenticare mai.

Steve Della Casa (Torino, 1953), in coppia con Chiara Ronchini e la produzione dell’Istituto Luce invece ripercorre in Nessuno ci può giudicare la avventure del genere musicarello, in spolvero dai sessanta per declinare (o evolversi) nei settanta, cioè come nacque, come si sviluppò e cosa significò. Inserti che sono dei bonbon di nostalgia (per chi c’era), con le testimonianze di oggi di alcuni reduci, cantanti (Toni Dallara, Rita Pavone – nella foto in alto –, Gianni Pettenati, Mal, Shel Shapiro) e registi (Piero Vivarelli, che si definisce “rockettaro marxista” e che vide nella canzone giovane degli urlatori un segno rivoluzionario). La mano di un appassionato del cinema popolare quale il critico, saggista nonché conduttore di Festival Steve Della Casa, appare così particolarmente felice, potendo lavorare su cose che ama, pescando le chicche più gustose.

Sono Guido e non Guido, come riporta la sinossi è “La storia e i segreti del più grande poeta professionista vivente, Guido Catalano, e del suo gemello, ghostwriter, Armando Catalano”. Se il torinese Guido si è fatto fresca fama tra i luoghi alternativi con le sue performances poetico-umoristiche (tipo: “ti piacerebbe andare a more con me, pungendoti i diti?”), pubblicando libri e recentemente anche un romanzo, il suo alter-ego e vero autore Armando secondo il film vive nell’ombra, affetto da reversofonia (cioè parla al contrario) e con un leggero accenno di acredine verso il gemello più famoso. Alessandro Maria Buonomo firma questo mockumentary (ovvero falso documentario) di introduzione a un performer vero, un artista che voleva fare la rock star ma non aveva il fisico, diventando però un brillante declamatore di sue poesie (che come dice un testimone: “se le leggi superficialmente sono cabaret ma se ci rifletti viene fuori la malinconia del poeta”).