TORNERANNO I PRATI: LA RECENSIONE

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Italia, 2014 Regia Ermanno Olmi Collaborazione alla regia Maurizio Zaccaro Interpreti Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi, Domenico Benetti Sceneggiatura Ermanno Olmi Fotografia Fabio Olmi Distribuzione 01 Distribution Durata 1h e 20’ /www.kinoweb.it/cinema/torneranno_i_prati/torneranno_i_prati.html

In sala dal 

6 novembre

È possibile raccontare le atrocità della guerra con il linguaggio della fiaba? Sì, se a farlo è un poeta come Ermanno Olmi e se si sceglie di raccontare la Guerra Bianca, quel conflitto che si svolse fra le nostre montagne fra il 1915 e il 1918 e che ebbe l’assurda e beffarda contraddizione di obbligare gli uomini ad uccidersi fra loro in mezzo ai monti più belli del mondo. Adamello, Ortles, Dolomiti, Carnia: paesaggi di fiaba sfregiati e insanguinati per sempre che affascinavano anche chi era costretto a starci per combattere. «Per un innamorato della montagna questo gruppo offre paesaggi imponenti ed impressionanti », scriveva nel 1917 in una lettera dall’Adamello il tenente Giovanni Rolandi. «Di fronte alle nostre posizioni campeggiano gruppi meravigliosi di roccia e di ghiaccio che nel silenzio del tramonto s’imporporano stupendamente offrendo uno spettacolo ammaliante. In quei momenti pare quasi che la guerra non esista ». Olmi ha deciso di raccontare la sua guerra proprio su questo fronte, fra i boschi incantati dell’Altopiano di Asiago, resi ancora più affascinanti dalla neve e dalla fotografia desaturata del figlio Fabio, al limite del bianco e nero.

L’avamposto in cui si svolge la storia, racchiusa in una notte, è una sorta di fortezza Bastiani (Buzzati e Rigoni Stern sono gli angeli custodi di questo film): il nemico non si vede mai, se ne sentono le voci e, soprattutto, le bombe. I soldati sono isolati, l’unico contatto con i comandi è il telefono: ma è intercettato e bisogna stendere una linea nuova. E per farlo ci vogliono volontari, consapevoli che è morte quasi sicura. Olmi indugia sui volti ieratici dei soldati, i gesti lenti, i toni di voce sempre bassi, i rifugi gelidi e sgocciolanti, catacombe illuminate dalle fiammelle delle lampade a carburo. La morte arriva improvvisa con un bombardamento che devasta, uccide, ferisce: e sporca la neve immacolata. Come in altri suoi film (Il tempo si è fermato, Il segreto del bosco vecchio, Il mestiere delle armi) la neve è un elemento narrativo fondamentale, un protagonista della storia. Ma è, forse, anche il limite di un film che vuole raccontare le atrocità della guerra: i paesaggi struggenti, l’atmosfera onirica e ovattata, i silenzi del bosco fanno scivolare alcune sequenze in una sorta di sequel involontario de Il segreto del bosco vecchio: la lepre che scappa scodinzolando, la volpe che passa davanti alla trincea, il topolino fra le brande, il larice dorato dal raggio di luna… il colonnello Procolo va in trincea.

In Torneranno i prati c’è tutta l’assurdità della guerra, l’arroganza dei comandanti, l’insensatezza degli ordini. C’è, soprattutto, l’omaggio di un regista sensibile alla Memoria ai ragazzi che un secolo fa sacrificarono le loro vite, e che sono stati dimenticati per anni. Ma mancano la violenza, l’orrore, la follia, il sudiciume, l’acciaio che mutila, il puzzo di morte e di feci. E la Grande Guerra fu anche, o soprattutto, questo. Anche in montagna, anche fra le nevi.

Marco Balbi