TUTTI VOGLIONO QUALCOSA

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«Provate a immaginare un film della serie Porky’s diretto da Eric Rohmer e avrete un’idea precisa dello stile e del valore di Tutti vogliono qualcosa». Così un critico americano, con un’ardita comparazione, ha inquadrato il “senso-cinema” dell’ultimo film di Linklater, e c’è del vero. Dopo lo straordinario e sperimentale Boyhood, l’acclamato regista-sceneggiatore statunitense, cantore dell’adolescenza e della sua transitorietà, ha scelto di realizzare una “commedia generazionale”, una sorta di sequel ideale al suo La vita è un sogno (Dazed and Confused, 1993). Se quello raccontava dell’ultimo giorno di scuola di un gruppo di liceali alla fine degli anni Settanta, questo, ambientato agli inizi degli anni Ottanta, mette in scena i tre giorni che precedono l’inizio delle lezioni al college di alcune matricole e degli altri membri della squadra universitaria di baseball di cui tutti fanno parte. Il protagonista è Jake (Blake Jenner), un promettente pitcher (lanciatore) che va ad abitare nella casa messa a disposizione della squadra, un appartamento comune con delle regole di buona condotta (niente alcool e niente ragazze) che presto vengono disattese.

Tra cameratismi e qualche conflitto interno al gruppo, tra notti spericolate alla ricerca di conquiste femminili, Jake inizia un percorso di crescita che lo condurrà anche a trovare l’amore. Il tentativo, riuscito, di Linklater è quello di catturare lo spirito di un’epoca oggi già lontana (complice una colonna sonora esemplare, che spazia da Sugarhill Gang a Donna Summer), più che di soffermarsi sulle contraddizioni comportamentali dei personaggi – resta sufficiente quasi una presentazione “antropologica” delle varie tipologie e la competizione che da ciò ne deriva – e i loro legami d’amicizia, senza rinunciare a esaltare un delicato romanticismo come antidoto/reazione nei confronti della caducità delle cose terrene. E quando tocchi demenziali da teen-comedy alla Animal House (come la scena del gatto nel frigorifero) infrangono i toni malinconici, il film recupera una folle vitalità che ne tonifica la narrazione. Il Tempo poi naturalmente distruggerà tutto, ma sapendo Linklater “installarlo” nel cinema, sa anche come farlo eccedere e trasformarlo nella nostra memoria.