VISTO A PARIGI: “L’ODYSSÉE”, IL MITO DI JACQUES COUSTEAU OSSESSIONATO DAL MARE

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Nel blu profondo, nel silenzio del mondo acquatico, a bordo della sua Calypso il capitano dal cappello rosso si avventurava spinto dall’eccitazione della scoperta. Icona per gli esploratori di generazioni e generazioni, Jacques-Yves Cousteau rimane un personaggio misterioso raramente raccontato sul grande schermo, fatta eccezione per La vie aquatique (2004) di Wes Anderson. Così, Jérôme Salle ha deciso di raccontare il controverso comandante quando ha scoperto che il figlio non sapeva niente del suo idolo di infanzia, di quel visionario inventore che stava ritornando negli abissi del continente blu da lui stesso esplorato nell’arco di una vita. Tra agiografia, dramma familiare e lezione ambientalista, l’Odyssée rivisita il mito superando le convenzioni del biopic. Eppure, la Calypso di Salle ogni tanto fa acqua.

1948. Jacques-Yves Cousteau (Lambert Wilson), sua moglie (Audrey Tautou) e i suoi due figli (Pierre Niney e Benjamin Lavernhe) vivono al sud della Francia in una bella casa che si affaccia sul mar Mediterraneo. Ma Cousteau trascorre le notti a studiare le cartine geografiche sognando l’avventura. Poi la sua geniale invenzione, il cosiddetto scafandro autonomo automatico, che permette di respirare sott’acqua, gli dà la possibilità di andare a scoprire il mondo sommerso. Per quello è disposto a sacrificare tutto.

Ritornando sulle tracce di Il mondo del silenzio (1956) diretto da Cousteau stesso e da un allora giovane Louis Malle, premiato con Palma d’oro e Oscar per il miglior documentario, Jérôme Salle riprende la narrazione, curandosi bene delle critiche del tempo. “Ingenuamente disgustoso”, lo definì il regista Gérard Mordillat che vide in quel profetico mondo del silenzio il nostro silenzio di oggi di fronte alla “distruzione massiccia delle barriere coralline, lo sterminio degli animali marini, la caccia, l’inquinamento, il cinismo del governo in nome della scienza, della ricerca e del profitto”. L’accecamento di Cousteau febbricitante di scoperte ad ogni costo è, invece, edulcorato da Salle che indirizza il comandante verso una redenzione ambientalista che lo colpisce sul finale come un’epifania: “In più di 30 anni ho scoperto un mondo che ho voluto conquistare quando invece bisognava proteggerlo”.

Merito anche del figlio, che brilla per l’interpretazione di Pierre Niney che ci aveva già conquistati con Yves Saint Laurent (premio César come miglior attore 2015) e poi con il recentissimo Frantz di François Ozon. È Philippe Cousteau, dunque, a mettere in evidenza luci e ombre di un esploratore geniale ma di un padre assente e brutale. È il figlio il primo a criticare il padre, contestando la sua cinica ricerca del business a scapito di una più genuina passione, la sua indifferenza all’ambiente, il suo egoismo nel correre dietro a tutti i suoi desideri che spesso non includevano i figli, la sua aridità di sentimenti per la moglie che l’ha amato e seguito per tutta la vita, diventando la vera comandante di Calypso. L’odio del figlio si acuisce quanto più cresce l’ammirazione per il padre.

Sul filo di questo rapporto antitetico l’Odyssée supera le frontiere del biopic per riflettere sull’interazione tra padre e figlio, approfondire i personaggi, inclusa la figura fondamentale della moglie Simone spesso ignorata. In questo senso è stato definito atipico il biopic di Salle che ci fa immergere nell’universo sottomarino di sconfitte, tradimenti, meschinità, vanità, egoistici desideri e megalomanie di un mito che, considerato nella sua sfera privata, perde la sua statura.

Tuttavia, è proprio nel tentativo di evitare la trappola dell’agiografia che Salle insegue molteplici piste senza mai sceglierne davvero una. Calypso a volte perde la rotta ma in compenso ci lascia navigare tra i ghiacci dell’Antartide, ammirare da vicino balene e squali davvero filmati dal regista, esplorare i più bei fondali del Sudafrica che sulle note create appositamente da Alexandre Desplat, premio Oscar per The Grand Budapest Hotel, ci trasportano in un vero stato di grazia. Il risultato estetico ripaga i trenta milioni di budget, i cinque mesi di riprese e l’immenso lavoro di ricerca che hanno guidato il regista in un’impresa omerica che secondo le sue intenzioni doveva rimanere il più possibile autentica. Aspettando che l’Odyssée trovi una distribuzione italiana bisogna accontentarsi dei primi estratti, pubblicati su Facebook, del diario di bordo che Lambert Wilson ha girato durante le riprese del film di Salle. Heureux qui comme Ulysse si chiamerà il documentario dell’attore che racconta di aver capito Cousteau soltanto immergendosi in quel mondo in cui neanche la luce riesce ad arrivare.