Alessio De Leonardis: «Racconto Trentalance, metafora di libertà»

Il regista vincitore insieme a Fabrizio Moro del Ciak d’oro per il Migliore esordio alla regia per Ghiaccio ci ha parlato del suo documentario sull’ex pornodivo Franco Trentalance e dei suoi progetti futuri

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«Era interessante per me scavare nell’animo di un personaggio che è noto solo per le doti da pornoattore, invece dopo averlo conosciuto di persona ho visto che c’è tanto altro che mi interessava raccontare». Così Alessio De Leonardis sull’ex pornodivo Franco Trentalance al quale ha dedicato un documentario: Sarò Franco – Una vita un po’ porno, disponibile su Amazon Prime Video distribuito da 102 Distribution. Il regista e sceneggiatore, vincitore insieme a Fabrizio Moro del Ciak d’oro del pubblico per il Migliore esordio alla regia per Ghiaccio, ci ha parlato di questo lavoro che racconta di una nuova vita e di libertà, e dei suoi prossimi progetti tra cui un nuovo film con Fabrizio Moro.

«Purtroppo spesso ci si ferma solo all’apparenza», ha continuato a spiegarci De Leonardis, «la professione del pornoattore e della pornoattrice è vista sempre come una cosa al limite della legalità, uno guarda da fuori e giudica senza sapere, ma la sera poi guarda i porno. È proprio tipico della società, di quelli che ben pensano come direbbe qualcuno. Conoscendo Franco ho scoperto che è una persona curiosa, ha tanti interessi, come la scrittura, e aveva programmato da tempo di smettere la carriera da pornoattore e dedicarsi ad altro, ha scritto diversi romanzi e lavora come life coach. Credo che sia il lato interessante del documentario, per me è la metafora della libertà. Alcuni di noi nascono con un sogno e provano a coltivarlo, e se uno ha il desiderio di diventare un pornoattore che male fa? Il problema è che oggi che si parla di fluidità, di identità di genere, ancora c’è gente che si scandalizza perché uno vuole fare il porno. Purtroppo siamo legati a tradizioni culturali che impongono che determinate cose siano sbagliate, soprattutto in famiglia, nel film la pornoattrice Priscilla Salerno, ad esempio, racconta di essere stata cacciata di casa dai suoi genitori per questa sua scelta. Nel documentario Netflix su Pamela Anderson invece la madre racconta che quando hanno proposto alla figlia di fare un servizio su Playboy lei era entusiasta, e le ha detto di divertirsi. A Franco, a Priscilla, al giovane pornoattore Max Felicitas nessun genitore ha detto: “Vai, divertiti”, si sono vergognati, perché la gente teme sempre il giudizio degli altri rispetto a sé stessa e in questo caso rispetto ai propri figli, è questo il vero problema. Se uno non si sente libero, non può rendere liberi nemmeno gli altri, la libertà è un concetto abbastanza semplice che riguarda tutto quello che facciamo nella vita, dal lavoro al privato, agli interessi. La libertà è fatta di momenti, è un po’ come la felicità, credo che a volte siano simili, un concetto quasi effimero, è un conflitto con te stesso sentirti libero».

Immagino soprattutto da regista, da artista che il giudizio degli altri ti accompagni sempre…

Per quanto mi riguarda se stai scrivendo è il tuo momento di massima libertà, scrivi quello che ti viene, che vuoi raccontare, ma il pensiero te lo fai, anche solo “ma chi la guarderà sta roba? Come arriverà al pubblico?”, ti stai facendo domande che non dovresti farti se è quello che tu vuoi, però poi sei costretto a fartele perché fai un mestiere per cui il pubblico significa tanto. Prendi il Ciak d’oro di Ghiaccio, è l’unico premio votato dal pubblico, se avessimo fatto un film che le persone non avessero gradito non avremmo vinto, per la mia visione di cinema il pubblico è fondamentale, a chi ti rivolgi se no? C’è sempre la mediazione tra quello che in effetti vuoi e quello che pensi che sia giusto che arrivi alle persone.

Ghiaccio era in parte proprio un omaggio al posto dove siete nati, alle persone con le quali siete cresciuti…

Conosco tanta gente che è nata in periferia che a un certo punto si è “ripulita”, che ha rinnegato, invece il nostro concetto era l’esatto contrario, cioè le tue origini devono essere la tua forza, te le devi portare avanti tutta la vita perché è grazie a quelle che hai capito determinate cose e hai anche avuto la possibilità di sognare. Quando parti svantaggiato ti serve molto sognare per rimanere a galla, e quindi probabilmente se non avessimo avuto quelle origini lì non avremmo avuto la forza per voler raccontare determinate cose.

Tornando a Sarò Franco, hai scelto di far vedere poche scene dei film di Trentalance, dei set porno, c’è un motivo in particolare?

 Sì, è stato un documentario per tanti aspetti difficile, per esempio ci hanno negato il permesso di girare in determinati posti in Emilia perché la figura di Franco viene associata ovviamente alla pornografia, ma noi volevamo raccontare altro. Non volevo cadere nella faciloneria di mostrare le immagini dei film di Franco, ci sono due tre momenti in cui faccio vedere delle scene ma sono buffe, c’è lui vestito da soldato, doppiato male, quello mi divertiva. Ma la scelta di non soffermarmi sui suoi film è stata fatta proprio per valorizzare l’aspetto umano in questa storia, mostrare le persone al di là della loro professione.

Viene spontaneo pensare al suo esatto opposto, Rocco Siffredi che è molto più “divo” rispetto a Trentalance…

Sono completamente diversi, Rocco ha proseguito la sua carriera, fa il produttore, il regista, ha una scuola per pornoattori, è stato ed è sempre concentrato in quella dimensione lì. Franco invece l’ha proprio mollata quella strada, ha sempre interpretato la sua vita da pornoattore come se fosse stato uno sportivo, e lo dice, lui ha pianificato la sua carriera come un calciatore che sa che a un certo punto finirà.

 

Che cosa ti colpisce di una storia tanto da decidere di farne un film?

I film e i documentari ovviamente sono due cose separate, di documentari non ne avevo mai fatti, quello su Franco è partito dai produttori e ho trovato subito interesse e curiosità nel fare questa cosa. Il documentario è studio, ricerca rispetto a un film di finzione perché non puoi bluffare, poi cerchi di trovare in quel racconto la cosa che ti dà più stimolo, nel caso di Sarò Franco è stata l’idea della libertà e del cambiamento. L’approccio sul film è diverso, cerco qualcosa che mi emozioni, devo avere l’esigenza di raccontare una storia e, essendo anche sceneggiatore, di mettere nei miei personaggi spesso qualcosa di mio, qualcosa che sto vivendo, qualcosa che ho vissuto o che mi piacerebbe vivere. Quindi questo è l’approccio diverso, il documentario è un approfondimento su qualcosa, mentre il film è anche una ricerca tua, introspettiva, però deve partire sempre da qualcosa che hai voglia di raccontare. Ghiaccio è stato un film di pancia, lo abbiamo scritto in una settimana. Se non avessimo trovato un produttore ce lo saremmo prodotti da soli, questo tipo di approccio spero che esista sempre per chi fa cinema, perché il pubblico sente la differenza.

 Cosa stai preparando in questo momento?

Sto lavorando su un documentario, ma stavolta non curerò la regia, l’ho scritto insieme ad Anselma Dell’Olio, è un progetto a cui sono molto legato, ci abbiamo messo tanto a scriverlo, iniziamo a girare tra poco, seguirò la produzione creativa del progetto. E poi inizierò il nuovo film con Fabrizio Moro, ci divertiamo molto insieme e soprattutto se non avessimo avuto un’altra storia da raccontare, un’esigenza forte, non l’avremmo fatto.