Ariaferma, Silvio Orlando: “La recitazione è l’arte della memoria, questa volta è stato diverso”

Ariaferma è stato presentato a Venezia78

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Il tempo immobile in un carcere, «uno spreco» per Silvio Orlando, «uno strazio» per Toni Servillo. I due protagonisti di Ariaferma, il film diretto da Leonardo Costanzo, in cui interpretano rispettivamente un ergastolano e una guardia carceraria, definiscono così il concetto del tempo che scorre nell’immobilità della detenzione. Al loro primo lavoro insieme, i due interpreti, alla lettura della sceneggiatura, erano convinti di dover recitare ciascuno il ruolo dell’altro.

«Quando Leonardo mi ha dato il copione, ho pensato che mi volesse affidare la parte della guardia carceraria perché mi sembrava la più vicina alle mie corde – racconta Orlando – Poi con un salto mortale mi ha affidato l’altro ruolo, cosa che mi ha costretto a ritrovare una “verginità” sul set. La recitazione per me è arte della memoria, cerco sempre di capire cosa del personaggio appartenga  al mio vissuto e non c’è niente di più lontano da me di un ergastolano. Per questo sono entrato nel panico, ma ho cercato di essere all’altezza delle persone che mi circondavano. Il mio personaggio parla poco,  si affida a una fisicità e a un senso di minaccia, è stata una sfida enorme per me, non credevo esser capace di esprimere un senso di paura senza parlare, mi sono anche sorpreso di me stesso».

Toni Servillo – Credits La Biennale di Venezia – ph Andrea Avezzù

«La scomodità di non interpretare personaggi più prossimi alla nostra esperienza ha creato una certa difficoltà e ha evitato che ci accomodassimo con un atteggiamento routiniero in un film che non ha nulla di routiniero – aggiunge ServilloÈ stato affascinante interpretare un personaggio di un’onestà intellettuale così profonda, un funzionario dello Stato con un conflitto interiore profondo, diviso tra l’esercizio della responsabilità e la pietà. Un conflitto estendibile anche ad altri ambiti della vita sociale, che suggerisce al pubblico più di un motivo di riflessione necessario». Alla sua prima esperienza con attori professionisti, il regista ha preferito il cinema al documentario per un preciso motivo.  «Avevo bisogno di raccontare un tempo dilatato– spiega – Il documentario, almeno come lo so praticare io, prende la vita nel suo vivo, ma io avevo bisogno di essere molto vicino ai personaggi, di raccontarne l’interiorità. Il sorvegliante non sa qual è il suo senso, il detenuto invece sa bene il perché del tempo inutile in cui  è costretto a vivere in carcere. Il sorvegliante apre e chiude le porte, credo che il suo ruolo sia molto duro da sostenere».

Prima di girare, Orlando non ha incontrato alcun carcerato, una scelta precisa. «Non ho voluto incontrare alcune detenuto prima di girare – racconta l’attore – Mi sono confrontato con chi vive questo mondo una volta arrivato sul set: pensavo fosse una cosa spaventosa stare dentro una cella del carcere italiano, ma non è immaginabile il senso di costrizione e il sadismo che si può avere. Durante le riprese ho chiesto al regista di stare sempre vicino alla porta, facevo fatica a entrare nella cella. Ho smesso anche di ascoltare le testimoniane di chi conosce quella realtà, perché erano per me insostenibili. Era una via crucis di dolore e sofferenza, uno strazio non sopportabile».