In un momento particolarmente caldo per il cinema del terrore, come confermato dalla quantità di film del genere in uscita e dai numeri registrati al box office internazionale, a partire dal 23 gennaio (distribuito da Notorious Pictures) arriva nelle sale italiane il Bagman di Colm McCarthy, al suo terzo horror dopo Outcast e La ragazza che sapeva troppo. Un horror soprannaturale che affonda le radici nel folclore e nelle leggende popolari e segna il ritorno da protagonista di Sam Claflin – diventato celebre per pellicole come Hunger Games e I Pirati dei Caraibi – qui affiancato da Antonia Thomas (Misfits, The Good Doctor), la pluripremiata attrice e cantante Sharon D. Clarke (Rocketman), Steven Cree (Churchill, Martyrs Lane) e William Hope (Dark Shadows, The Son).
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IL FATTO
Bagman: si narra di un’antica e malefica creatura che si nasconde nell’oscurità, nutrendosi delle paure dei bambini e trascinandoli via per sempre. Patrick (Sam Claflin) pensava di aver lasciato quei terribili incubi nel passato. Ma ora, nel silenzio della notte, strani sussurri e ombre inquietanti tornano reclamando la sua famiglia. Quando suo figlio Jake diventa il prossimo bersaglio di Bagman, nessun luogo sarà sicuro. Nessuna luce sarà abbastanza forte per scacciare il buio che avanza.

L’OPINIONE
Nasce dall’inquietante esperienza vissuta dallo sceneggiatore esordiente Joh Hulme in prima persona quando aveva sei anni ed era perseguitato da incubi ricorrenti su un uomo nero che lo infilava in un sacco e lo portava via, e non c’è dubbio che la premessa sia tanto coinvolgente – per il loro fondarsi su paure ataviche che ognuno può aver rielaborato a modo proprio – quanto inevitabilmente sfruttata dal genere horror.
Encomiabile il lavoro del buon Clafin, a tratti spaesato e probabilmente poco convinto dell’avventura, ma comunque convincente e capace di trasmettere quel poco di thrilling preventivato e obbligatorio. Almeno sul piano umano, visto che quanto a quello più fantastico non si può imputare nulla all’incubo vivente interpretato dall’esordiente (e invisibile) Will Davis.
L’apparizione del suo Bagman – e le modalità con cui viene gestito – sono uno dei plus della vicenda, disseminata di dettagli intriganti (dalla raggelante cerniera del sacco del mostro alla sua incredibile tana) che sicuramente compensano la mancanza di originalità accennata e qualche superficialità narrativa, che a tratti indulge in espliciti tentativi di far leva sugli strumenti più scontati a disposizione del regista. Ma pure ruota intorno al concetto, questo sì meno sfruttato in questo modo, dell’importanza e della forza dei ‘talismani‘ dell’infanzia, ai quali restiamo o dovremmo restare legati, senza rinnegarli, e senza rinnegare il fanciullino che è in noi e la sua innocenza.
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SE VI È PIACIUTO BAGMAN, GUARDATE ANCHE…
Inutile andare a recuperare l’altro The Bagman del 2002 di Rae Fitzpatrick, o il super classico cult IT (nelle sue versioni), al quale è impossibile non ripensare partecipando del trauma infantile irrisolto del povero protagonista. Tanto vale seguire l’onda e affidarsi a altri titoli del genere come il recente The Piper (qui la recensione) o alla variazione sul tema offerta dal canadese Come True.
