La 19ª Festa di Roma apre all’insegna di Enrico Berlinguer e della politica comunista con Berlinguer. La grande ambizione di Andrea Segre, primo titolo del Concorso Progressive Cinema. Un racconto biografico che segue la vita pubblica e privata del segretario del PCI, dal viaggio a Sofia del 1973, quando sfuggì a un attentato dei servizi segreti bulgari, fino all’assassinio nel 1978 di Aldo Moro e la conseguente drammatica fine della strategia del “compromesso storico”, il grande tentativo di unire le forze popolari di matrice cattolica e socialista per guidare il Paese.
LEGGI ANCHE: Berlinguer. La grande ambizione, la recensione del film d’apertura di Roma 2024
Un film, quello interpretato (tra i tanti) da Elio Germano, Elena Radonicich, Paolo Pierobon e Roberto Citran, che Andrea Segre «aveva in testa da un po’» e che si è concretizzato quando sul set di Welcome Venice (film del 2021 presentato a Venezia 78) ha letto un libro sugli ultimi giorni di Berlinguer. «Abbiamo riflettuto sul fatto che il cinema italiano non avesse ancora raccontato Berlinguer. E non solo lui, ma tutto quel pezzo di Italia che ha vissuto intorno – e dentro – il partito comunista. È un elemento grosso della storia italiana che il cinema ha poco esplorato».
Nel farlo, Segre e lo sceneggiatore Marco Pettenello si sono concentrati su una parentesi specifica della vita di Berlinguer, dal ’73 al ’78, con una particolare attenzione agli anni centrali, il ’75 e il ’76. Anni di estrema tensione con un Italia spaccata in due. «Non volevamo fare un biopic, ma piuttosto concentrarci su dei momenti chiave della sua storia che ne ha fatto il più grande politico comunista in occidente».
«La prima volta che da bambini abbiamo visto un adulto piangere è stato quando è morto Berlinguer» confessa Pettenello. «Abbiamo intervistato una quantità sconfinata di persone, dai figli, alla scorta, ai politici ancora in vita e ogni volta c’era qualcuno che si commuoveva. Berlinguer era una figura amata da tutti».
LEGGI ANCHE: Berlinguer – La grande ambizione, il trailer del film con Elio Germano alla Festa di Roma 2024
Il film è alternato da immagini di repertorio che ‘rompono’ il flusso di messa in scena. Una scelta «consapevolmente rischiosa – dice Segre – ma che era un pallino fin dall’inizio per la difficoltà di separare quel confine labile tra “realtà e finzione“». Un grande lavoro è stato svolto dagli archivisti, insieme al lavoro meticoloso effettuato al montaggio con la supervisione attenta dei produttori «che non hanno mai mollato, consapevoli che là ci si giocava un pezzo di sfida creativa importante». Il modello che li ha guidati sin dalla scrittura è stato il film Milk di Gus Van Sant «per il suo dialogare tra messa in scena e immagini di repertorio in maniera sia didascalica sia poetica».
Fondamentale è stato il materiale dell’istituto Gramsci, specialmente le raccolte (scritte a penna) di tutte le riunioni svolte dal Partito Comunista. «Avremmo fatto un film di 12 ore se ci fosse stato concesso, invece come da un enorme pezzo di tronco, abbiamo cercato di fare la nostra scultura tagliando via tutto quello che non serviva. Il procedimento è durato un paio di anni, è stato un viaggio intellettuale stupendo».
Elio Germano: «Si sta meglio quando si condivide»
Dopo aver interpretato Matteo Messina Denaro in Iddu, Elio Germano torna nei panni di un altra figura emblematica della storia italiana. «L’approccio è stato quello di approfondire le questioni di cui erano portatori quegli intellettuali che sedevano ai tavoli di cui Berlinguer era il segretario. Ho riposto una profonda attenzione nella ricostruzione non tanto esteriore, ma di atteggiamento, un po’ come un’indagine storica. Credo molto nella comunicazione inconsapevole dei nostri corpi, in questo caso il corpo di Berlinguer. La sua prossemica involontaria raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, di responsabilità, di peso. Nella misura in cui il suo corpo raccontava quelle cose, ne ho tratto ispirazione ma senza volerne fare imitazioni esteriori. Il suo corpo raccontava molto».
A chi gli chiede raffronti con la politica di oggi e sull’individualismo, risponde: «la tendenza a salvarci è una deriva di tutta la società, non solo politica. Noi esseri umani abbiamo una concezione poco collettiva, ma molto più individuale, sempre in competizione l’uno con l’altro. E questo si rispecchia anche nei nostri posti di lavoro. I medici pensano più al profitto e alla propria carriera personale più che a curare le persone, gli insegnanti la stessa cosa, anche i politici. Per non parlare degli attori, la nostra categoria. Per usare un termine berlingueriano, sono quelli che Berlinguer definiva gli automatici meccanismi del mercato, ma dobbiamo svelare questa menzogna per cui la felicità è prodotta dalla competizione, dall’accumulo e dalla gara. Si sta meglio quando si condivide».