BETWEEN TWO DAWNS, intervista al regista del film vincitore del Torino Film Festival 39

Il regista turco Selman Nacar racconta il suo film e la sua lieta esperienza al Festival di Torino

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Between two dawns, debutto del regista e sceneggiatore turco Selman Nacar, è il miglior film della 39° edizione del Torino Film Festival. L’opera è tutta incentrata sul dilemma morale di un uomo costretto a scegliere tra i suoi sogni, la sua famiglia e il bene della moglie dell’operaio rimasto ferito nella fabbrica tessile in cui lavora.

L’interesse di Nacar, che ha studiato tra l’altro anche legge, è tutto rivolto ad un cinema che sia in grado di interrogare il pubblico su temi etici importanti. Il suo obiettivo non è dare risposte, ma offrire un’osservazione realistica della società e dell’uomo e stimolare una riflessione profonda nello spettatore attraverso il suo racconto. Pur essendo il suo primo lavoro come regista, Nacar ha scelto di assumersi il forte rischio di circoscrivere la narrazione della storia nell’arco di 24 ore, durante le quali il protagonista è messo alla prova ed è costretto a fare delle scelte importanti per se stesso e per gli altri, di qui il titolo, Between two dawns.

Selman Nacar sul set di “Between two dawns” 

In un’intervista rilasciata a Ciak subito dopo aver ricevuto il premio il regista racconta: “Ho sempre immaginato un personaggio incastrato in una situazione da cui fosse davvero difficile uscire e in cui fosse difficile prendere decisioni. Volevo inoltre mostrare quanto le relazioni, specialmente quelle familiari o tutte quelle importanti, possono influenzare e cambiare una persona quando questa si imbatte in un grave problema”.

Come è stato girato il film?

“Come regista ho sempre voluto fare un film in cui ogni scena fosse girata in un’unica ripresa. Volevo che il mio film avesse un flusso continuo, un ritmo. Volevo che lo spettatore potesse percepire lo scorrere di queste 24 ore e che la macchina da presa riprendesse con oggettività il modo in cui questa storia è nata tutta insieme per dare un senso di urgenza. Il concetto del tempo è diventato un aspetto fondamentale del film, per questo non ho effettuato nessun taglio in nessuno scena, progettando ogni sequenza come una lunga ripresa. Ho prestato molta attenzione alla durata di ogni scena, al suo ritmo. Per ogni ripresa partiva il cronometro sul mio telefono”.

Da dove nasce il suo interesse per i temi legati alla giustizia e alla morale?

“Io ho un approccio realistico, mi piace osservare le cose. Anche se non ho sperimentato personalmente questo genere di temi nella mia vita, mi piace molto catturare questi aspetti nel mio paese così come all’estero. Nel cinema per me la cosa più importante è definire questi temi, rifletterci e comprenderli. Credo che il cinema possa raccontare storie, ma non credo che possa rispondere alle domande. Non credo che sia necessario che un film offra delle risposte. Penso che sia soprattutto importante che gli spettatori comprendano un processo. Per questo film mi sono concentrato sulle 24 ore della storia, non sappiamo cosa sia accaduto prima o cosa accadrà dopo, ciò che conta è ciò che accade in quel lasso di tempo. Ho voluto ritrarre quei momenti durante i quali il personaggio deve affrontare una lotta morale, intrappolato tra coscienza, famiglia e sogni”.

Quanto è importante la famiglia nella società turca?

“Nella società turca la famiglia è molto importante, ma io penso che qualche volta le persone in famiglia indossino una maschera che levano solo quando incontrano un grosso problema, solo in quel momento i membri di una famiglia cominciano a mostrare il proprio lato più vero, quello più oscuro ed egoista. In questo film ci sono tre tipi diversi di famiglia, quella del protagonista, quella della sua fidanzata e quella del lavoratore, e anche se vivono tutte e tre nella stessa società ci sono tra loro differenze. Abbiamo usato sfumature di colore, decorazioni e abbigliamento differenti per ciascuna famiglia”.

Come ha scelto l’interprete protagonista del film, Mücahit Koçak, e come si relaziona con i suoi attori sul set?

“Mücahit mi è piaciuto subito, ma non l’ho scelto immediatamente perché nella vita vera è una persona molto timida e ingenua. Ho fatto molti altri provini, ma alla fine ho scelto lui perché è in grado di restituire diverse sfumature. Nella vita lui è una persona totalmente diversa dal personaggio che interpreta. Abbiamo lavorato sul personaggio per mesi e lui ha capito ciò che avevo in mente. Non volevo che Mücahit agisse come Kadir, io volevo che diventasse lo stesso Kadir. Ciò che chiedo ai miei interpreti è che siano dentro il personaggio in ogni movimento e in ogni scelta. Abbiamo parlato molto del personaggio, del suo modo di pensare e della sua vita e quando siamo arrivati sul set abbiamo lavorato solo sui dettagli. Mücahit è una persona straordinaria e un ottimo attore, è stata una grande collaborazione e, poiché la nostra metodologia e terminologia erano allineate, abbiamo lavorato insieme con molta gioia e facilità. In generale lavorare con gli attori per me è una cosa affascinante, mi piace molto”.

Come è stata l’esperienza qui al Torino Film Festival per lei?

“Ho sentito che il film era in grado di comunicare qui. Mi piace molto questo Festival e mi è piaciuta la reazione che ho ricevuto da parte del pubblico e della critica. Anche prima del premio avevo avuto una bella sensazione grazie alle buone recensioni che il film ha avuto. Il film non solo è piaciuto, ma ha ricevuto recensioni profonde che mi hanno fatto sentire che è stato compreso molto bene anche nei dettagli”.