“Sono convinto che sia questo il nostro futuro. Identità diverse continueranno a esistere ma si integreranno a vicenda”, sostiene il regista mauritano Abderrahmane Sissako, tra i pochi dell’Africa subsahariana ad aver ottenuto notorietà internazionale. Autore del film Timbuktu (2014), candidato agli Oscar per la Mauritania, nel 2024 Sissako ha presentato in concorso al Festival del cinema di Berlino Black Tea, storia che ancora una volta indaga sull’identità culturale. Il film, ambientato tra la Costa d’avorio e la Cina, è al cinema dal 15 maggio con Academy Two.
Black Tea, trama

Dopo aver detto “no” nel giorno delle sue nozze, Aya lascia la Costa d’Avorio per iniziare una nuova vita a Guangzhou, in Cina nel quartiere chiamato “Chocolate City”, dove risiede una grande comunità africana. In questo quartiere dove la diaspora africana viene a contatto con la cultura cinese, Aya viene assunta in un negozio che esporta tè di proprietà di Cai, un uomo cinese. Nell’intimità del retrobottega, Cai decide di iniziare Aya alla cerimonia del tè. Attraverso gli insegnamenti di questa antica arte, la loro relazione lentamente si trasforma in un tenero amore.
“La partenza volontaria e l’esilio hanno qualcosa di interessante da dire sull’identità. E per quanto mi riguarda, il cinema è un mezzo per esprimere quel qualcosa. Specialmente in Black Tea in cui spiego che, a prescindere da dove le persone provengano, esse hanno in comune il desiderio di vivere una vita felice, comprendendo e accettando gli altri. Che è proprio il caso di Aya e Cai”, spiega il regista Abderrahmane Sissako