Brea Grant, la sacerdotessa dell’horror – TFF38

Attrice, regista, sceneggiatrice. Da anni è una delle figure più attive nel cinema di genere nordamericano.

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Brea Grant

 

Nella sezione Le stanze di Rol del 38. Torino Film Festival c’è anche Lucky, un horror femminista diretto da Natasha Kermani.

Storia che parte in maniera bizzarra: ogni notte un misterioso uomo mascherato irrompe nella casa di May per cercare di ucciderla. Per il marito la cosa è assolutamente normale, ed effettivamente, puntuale come le tasse, il killer si ripresenta, e come appare scompare, anche se colpito a morte e dissanguato sul pavimento.

Il film della Kermani si evolve poi in maniera ripetitiva fino allo svelamento prima e al confronto finale, convenzionale e molto retorico il secondo. Nel panorama del genere di quest’anno un film solo in parte interessante, a cui danno lustro i passaggi a Torino e al Fantasia di Montreal, probabilmente il più importante festival di settore del mondo.

Ma la cosa più interessante di Lucky è la sua protagonista.

Brea Grant è da alcuni anni a questa parte una delle figure ricorrenti nell’horror indipendente americano. Trentanove anni, Grant è nota ai veri nerd delle serie tv per il suo ruolo di Daphne Millbrook nella terza stagione di Heroes, e in seguito per un ruolo nella sesta stagione di Dexter, quello di Ryan Chambers, apprendista di Vince Masuka che si scoprirà essere una feticista dei reperti della scientifica. Detto ciò, la carriera di Brea Grant è stata negli ultimi dieci anni un tripudio di B-movie. Nel 2013 dirige il suo primo film, Best Friends Forever, una specie di Thelma & Louise apocalittico.

Negli ultimi tre anni, la signora Grant è una costante della scena horror-indie americana. Un mercato enorme, con una produzione massiccia e costante, grazie ai budget molto ridotti e alla facilità di vendere i film, tra direct to video, piattaforme streaming e vendite internazionali. Capire il meccanismo che muove questa scena produttiva significa crearsi una carriera solida e praticamente eterna, una pensione non dorata ma più che dignitosa, una sorta di Un posto al sole della paura.

Il punto di svolta per Brea Grant è Dead Night

Uno slasher condito di streghe del 2017, film diretto da Brad Baruh (oggi regista di Disney Gallery: The Mandalorian) che sarebbe poi passato anche Torino, nella sezione After Hours, nel 2018. Un buon successo, visibilità internazionale, altri film, e anche cortometraggi di genere, che le permettono di costruirsi una rete di contatti sempre più fitta.

Brea Grant
Jeremy Gardner e Brea Grant in una romantica scena di After Midnight

Arriviamo nel 2019, quando al Tribeca debutta un film scritto, diretto e interpretato da Jeremy Gardner. After Midnight è un gioiello, storia di uomo che viene perseguitato ogni notte da un mostro misterioso. Guarda caso, un plot molto simile proprio a quello di Lucky. Gardner equilibra molto bene il grottesco con il dramma, la commedia romantica con l’horror, per poi arrivare a una conclusione imprevedibile ed esistenzialista con echi, forse voluti forse no, di Saramago. Brea Grant interpreta la fidanzata del protagonista, che all’improvviso scompare misteriosamente, salvo poi riapparire al momento giusto.

Eppure, nonostante il suo ruolo sia da non protagonista, il pubblico di Fantasia e Sitges, e in Italia del Trieste Science+Fiction, la erge a nuova musa del genere. Quest’anno era nuovamente a Sitges, seppur virtualmente, protagonista dell’ottimo The Stylist, ma anche con la sua seconda esperienza dietro la macchina da presa, 12 Hours Shift, storia di un’infermiera assassina tossicodipendente, slasher divertente ma con poca anima. Stesso problema di Lucky, horror a tesi forzato e non esattamente originale.

Il futuro si chiama Mnemovore, tratto dalla graphic novel di Fawkes, Huddleston e Rodionoff e diretto da quest’ultimo.

La saga di Brea Grant continua. Ne sentiremo ancora parlare