L’eredità di Jonathan Demme

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Il cinema, i film, la musica: perché Jonathan Demme lascia un’eredità importante. Molto più di quanto si pensi…

L’ultima volta fu alla Mostra di Venezia, due anni fa. Seduto su una sedia di vimini al Meridiana, già segnato dalla malattia, parlava di Meryl Streep e Joni Mitchell, raccontando il suo Dove eravamo rimasti con una passione contagiosa e quel sorriso enorme. Già, perché Jonathan Demme, nonostante gli Oscar, lo status di autore e almeno quattro capolavori in archivio, rimaneva un entusiasta, un uomo che si faceva nutrire dalle sue passioni e che, con grande naturalezza, raccontava di Neil Young che dava lezioni di chitarra alla Streep o di come aveva chiesto a Rick Springfield di mettere su una band appositamente per il film.

La verità? Demme è stato un regista molto più grande di quanto non si dica, forse anche troppo sottovalutato e dimenticato da quella Hollywood che oggi tanto lo celebra (finì a fare il remake di Sciarada), eppure basta vedere i nomi che oggi lo indicano come maestro assoluto per capirne la portata. «Nella mia carriera sono stato influenzato da soli tre registi», ironizzò una volta Paul Thomas Anderson, «Jonathan Demme, Jonathan Demme e poi Jonathan Demme».

E allora, adesso che siamo all’ultimo saluto, del suo cinema ci rimane una lunga galleria di personaggi meravigliosi, e molti declinati magistralmente al femminile: inevitabile partire dalla Clarice di Jodie Foster ne Il silenzio degli innocenti, ma indimenticabili furono anche il tornado Melanie Griffith in Qualcosa di travolgente, la suonata Michelle Pfeiffer de Una vedova allegra ma non troppo e poi anche il dimenticato inedito Beloved con Oprah Winfrey prima della stessa Streep in Dove eravamo rimasti e – soprattutto – della fragile, rovinata, dolente Anne Hathaway in Rachel sta per sposarsi per cui ancora le devono un Oscar.

Cinema allo stato puro, innumerevoli frammenti e frame incisi per decenni nelle nostre teste di spettatori, dalla fuga di Hannibal Lecter all’alieno David Byrne in Stop Making Sense fino a Tom Hanks che in Philadelphia recita l’Andrea Chénier, ovvero l’AIDS spiegato da una frase presa da un’opera lirica di Umberto Giordano del 1896: «E fu in quel dolore che a me venne l’amore…». Perché per Demme la musica non era mai solo suono o accompagnamento, anzi, era senso totale, significato, contenuto, spesso un faro da cui si faceva guidare nel scegliere film o collaborazioni, dall’amico Neil Young alla riscoperta di Enzo Avitabile fino all’ultimo Justin Timberlake and The Tennessee Kids che trovate su Netflix, ma anche i suoi film erano una miniera di canzoni, dai Big Audio Dynamite a Bach, dai Fall a American Girl di Tom Petty (una delle sue canzoni preferite), e poi gli Spin Doctors, i New Order, Springsteen che cammina per le strade di Philadelphia (il video era suo, sì, con il nipote Ted, nella foto sopra, anche lui scomparso troppo presto), e poi Sade, Peter Gabriel, Ch’io mi scordi di te? di Mozart e – per chi se lo ricorda – Tunde Adebimpe dei Tv on the Radio che a un certo punto di Rachel sta per sposarsi intona Unknown Legend di Neil Young. Come ha scritto sul suo blog David Byrne dopo aver saputo la notizia: «Jonathan, we’ll miss you…», ma il torto maggiore che possiamo fargli oggi è non riconoscerne l’assoluta grandezza.

Questa sera Rai Movie ricorda Jonathan Demme alle 23.35 con Qualcosa di travolgente (Something Wild), il suo film del 1986 presentato al Festival di Cannes e interpretato da Melanie Griffith, Jeff Daniels e Ray Liotta

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