Con Enzo, il film scritto da Laurent Cantet (Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2088 per La classe – Entre les Murs) e poi diretto da Robin Campillo (120 battiti al minuto, 2017), Pierfrancesco Favino ha aperto la Quinzaine Des Cinéastes al 78° Festival di Cannes. Attraverso la suggestiva storia di un adolescente il film, prodotto da Lucky Red e prossimamente al cinema, riflette su questioni di genere, sociali e politiche profondamente contemporanee.
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Enzo, la trama
Enzo (Eloy Pohu) lavora in un cantiere edile, ha sedici anni e ha deciso che lo studio non fa per lui. In un’età cruciale per la scelta del proprio avvenire, i suoi genitori, Paolo (Pierfrancesco Favino) e Marion (Élodie Bouchez), lo vorrebbero iscritto ad una prestigiosa scuola superiore per accedere bene agli studi universitari, ma l’animo di Enzo è agitato da questioni più grandi e un’inquietudine verso il mondo, afflitto da guerre e crisi climatica, lo spinge a cercare un’occupazione più concreta, che lo faccia sentire capace di creare qualcosa di concreto e solido, come appunto le mura di un edificio. Allo stesso tempo qualcos’altro turba l’animo del ragazzo, che si interroga sul proprio orientamento sessuale. Enzo è confuso e il suo stato d’animo preoccupa profondamente soprattutto Paolo, con cui il ragazzo non riesce più a trovare un dialogo.
Pierfrancesco Favino
“Da padre mi sono immediatamente ritrovato nella difficoltà di avere a che fare con un figlio che attraversa quel momento molto complicato che è l’inizio della costruzione della propria identità”, racconta Favino a Cannes 2025 alla presentazione del film. L’attore, che recitando in francese interpreta il ruolo di un padre, professore universitario della borghesia medio-alta attento alle esigenze della propria famiglia, si sofferma in particolare sui tanti temi del film ideato da Cantet e poi diretto da Campillo dopo la sua morte.
“Come sempre nei film sia di Cantet che di Campillo ci sono tantissimi temi. Enzo mi ha sedotto da subito per la scrittura, così intelligente senza mai essere retorica, mai dimostrativa, e per i tanti temi legati alla modernità che in questo film si trovano in una maniera mirabile”, dice ancora Favino.
In un film che potrebbe ricordare alla lontana i turbamenti narrati da Luca Guadagnino in Chiamami col tuo nome (2017), il ruolo interpretato da Favino è esemplare di una società moderna, in cui il padre non è più necessariamente colui che mantiene la famiglia, ma è capace di occuparsi delle faccende domestiche al pari della moglie pur portando avanti una seria attività professionale. Enzo mostra quanto questa fluidità di ruoli, per quanto corrisponda ad una più moderna e aperta visione della famiglia, possa però ancora turbare la personalità in formazione di un adolescente immerso in una società che tutto sommato ancora fatica ad accettare il cambiamento.
“Penso che rispetto a quando io avevo 16, 18 anni il mondo sia molto più aggressivo non solo nei confronti dei giovani, ha una richiesta estremamente più performativa. Ma è anche vero che l’adolescenza, anche da un punto di vista biochimico, comporta delle difficoltà e una sofferenza che conosco e che vedo anche nelle mie figlie”, commenta Favino.
Con franchezza l’attore sottolinea poi anche il coraggio con cui il film di Cantet e Campillo affronti il tema della crisi della borghesia rispetto alle grandi questioni che affliggono il mondo come la guerra in Ucraina e a Gaza e le minacce globali che provengono da ogni parte. “Non c’è bisogno di scomodare Trump per trovare le contraddizioni di questa società. Io sono un buon borghese, sono qui e sono in difficoltà. Faccio parte di questo mondo, guardatemi, vestito bene, in un posto meraviglioso ad un prestigioso Festival di cinema, chi sta meglio di me? Eppure, non riesco a conoscere mio figlio”.
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