Cate Blanchett, David Fincher e il futuro di Squid Game: cosa sappiamo sullo spin-off USA

Il creatore Hwang Dong-hyuk risponde alle domande sul finale della serie, dal cameo di Cate Blanchett alla morte di Gi-hun

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Squid Game_Cate Blanchett

Il finale della terza ed ultima stagione di Squid Game ha introdotto un elemento del tutto inedito (attenzione, spoiler!! ma se siete arrivati fino a qui… avvertimento vano): una misteriosa reclutatrice interpretata da Cate Blanchett fa la sua comparsa in una scena ambientata a Los Angeles nella quale gioca a Ddakji con un povero sventurato (e per questo eventuale concorrente dei giochi), scambiandosi uno sguardo con Front Man. Una presenza che ha fatto rumore e che ha riacceso le speculazioni su un possibile spin-off americano di Squid Game, di cui da tempo si parla e che secondo alcune fonti potrebbe essere affidato al regista David Fincher.

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Squid Game 3, la spiegazione del finale

Il creatore della serie Hwang Dong-hyuk ha chiarito in più occasioni che la scena non è stata pensata per introdurre ufficialmente un nuovo progetto, quanto piuttosto per chiudere la storia principale con un’immagine d’impatto e un messaggio universale. «Volevo una reclutatrice donna. Qualcosa di diverso e più potente. Avevamo bisogno di un volto che in pochi secondi potesse comunicare tutto. Cate è sempre stata il nostro sogno nel cassetto» ha raccontato Dong-hyuk a Variety. Nonostante l’apparente apertura narrativa, Hwang ha chiarito che quella scena non è stata scritta per introdurre direttamente uno spin-off americano. «Non è legata a nulla di ufficiale. Volevo solo un finale d’impatto. Non ho mai ricevuto comunicazioni da Netflix su un progetto statunitense, anche se ho sentito i rumors».

 

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Anche a The Hollywood Reporter Hwang ribadisce: «Non ho scritto quella scena per lasciare spazio a sequel o espansioni. Il messaggio era un altro: anche se un sistema cade, ce ne sarà sempre un altro pronto a sostituirlo. Il ciclo continua». Ed è proprio questo che si legge nello sguardo del Front Man quando si accorge della reclutatrice americana: il gioco non è finito, ha solo cambiato continente.

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Secondo le voci più insistenti, sarà David Fincher a dirigere Squid Game: USA. Anche su questo punto Hwang è cauto: «Non ne so nulla ufficialmente. Ho solo letto le stesse notizie che avete letto voi. Ma sono un grande fan di Fincher. Se davvero dovesse fare una versione americana, sarei il primo a guardarla il giorno dell’uscita». In termini di coinvolgimento creativo, Hwang è chiaro: «Se si trattasse di un’altra stagione principale, allora sì, dovrei essere coinvolto direttamente. Ma se è un adattamento americano, posso contribuire con qualche idea. Non sento il bisogno di essere totalmente operativo in un progetto così, a meno che non serva davvero il mio apporto».

Il destino tragico di Gi-hun (Lee Jung-jae) non era nei piani originali.

«Quando stavo progettando le stagioni 2 e 3 non avevo intenzione di far morire Gi-hun» ha spiegato il regista a Variety. «L’idea che avevo in mente era che in un modo o nell’altro ne sarebbe uscito vivo e sarebbe tornato a vedere sua figlia. Ma mentre scrivevo, guardando ciò che accadeva nel mondo, mi sembrava incoerente. Sentivo che un finale più giusto sarebbe stato vederlo sacrificarsi per le generazioni future».

La presenza centrale di una neonata nella storia (figlia della giocatrice 222) non è infatti casuale: «Non è lì per essere in pericolo. È un simbolo. Rappresenta il futuro, la nostra coscienza, ciò che dobbiamo proteggere anche a costo di sacrifici».

Squid Game 3
Lee Jung-jae in una scena di Squid Game 3

Nell’intervista, Hwang spiega anche perché ha deciso di non far terminare la frase a Gi-hun in punto di morte: «È difficile definire cosa siano gli esseri umani. Siamo esseri molto complessi. A volte siamo pieni di speranza e di bontà d’animo. E poi, in un attimo, siamo pieni di avidità e di immenso egoismo. Volevo che quest’ultima frase fosse una domanda per il pubblico. Volevo che tutti si chiedessero di finire quella frase da soli. E per il personaggio di Gi-hun, ho pensato che sarebbe stato meglio mostrarlo attraverso l’azione piuttosto che finire quella frase a parole. Gi-hun termina quella frase sacrificando se stesso: in questo modo ci mostra come dovrebbero essere gli esseri umani».