“Rosso Istanbul”: viaggio nella colonna sonora

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Vent’anni dopo, ancora Istanbul. La prima volta però, nel 1997, furono Pivio e Aldo De Scalzi a scrivere la colonna sonora per Il bagno turco, questa volta è un’altra coppia di compositori, Giuliano Taviani e Carmelo Travia, chiamati da Ferzan Ozpetek a musicare Rosso Istanbul, undicesimo capitolo di una filmografia che alla musica ha sempre dato tanto, dai Tiromancino de Le fate ignoranti a Neffa di Saturno Contro, tra Andrea Guerra e Pasquale Catalano. «Una collaborazione nata dal caso, come spesso accade», spiega Taviani, il cui notevole score è appena stato pubblicato in digitale da SugarMusic, etichetta che negli ultimi mesi tanto sta facendo per la musica da cinema, «Catalano questa volta non era disponibile, quindi per quest’avventura Ferzan ha scelto me e Carmelo…».

Qual è stata la vostra prima reazione: felicità o preoccupazione?

«Entrambe le cose, perché sapevamo bene quanto peso ha da sempre la musica nel cinema di Ferzan. Non è mai accessoria, ma sempre fondamentale, ha un ruolo preciso, connota situazioni e personaggi. In più, durante il primo dialogo che abbiamo avuto ci ha detto che, a differenza dei suoi film precedenti, per Rosso Istanbul avrebbe usato pochissimo materiale edito, quindi poche canzoni».

Cosa vi ha chiesto di scrivere?

«Ci ha subito spiegato che voleva poca musica, ma melodica e incisiva. Voleva una melodia che rimanesse in testa allo spettatore, un tema forte, qualcosa – cito le sue parole – come Via col vento o Love Story. Insomma, una cosa da nulla (ride, nda)».

Nella colonna sonora ci sono tredici pezzi, una sola canzone (In Dieser Stadt di Hildegard Knef, del 1965) e anche dei rumori…

«Sì, i rumori di Istanbul, un dettaglio importante della città che Ferzan voleva per riuscire a percepire la città anche attraverso i suoni. Su una cosa però è stato molto chiaro, ovvero nel non volere una musica turca per Rosso Istanbul, non cercava quel tipo di score, così anche se ci sono degli inserimenti di strumenti come l’oud, lo score è composto in maniera piuttosto classica».

Lei e Carmelo avete già visto Rosso Istanbul

«Sì, come no? Più di una volta (ride, nda). Devo dire che ogni volta per un compositore è sempre una sorpresa entrare in sala, perché non sai mai quali brani o quali frammenti di colonna sonora sono poi finiti nel montaggio finale. Rosso Istanbul non è un film gonfio di musica, ma quando entra ha sempre un ruolo centrale. Spero che il pubblico se ne accorga».

Ha cominciato a comporre colonne sonore quasi vent’anni fa, con Gianni Zanasi e Eros Puglielli. Oggi è più semplice scrivere oppure no?

«No, lo speravo anch’io, ma non è così (ride, nda). Ricordo ancora il lavoro fatto su Tutta la conoscenza del mondo di Puglielli, l’orchestra, i rimandi a Bernard Herrmann e l’impressione che poi sarebbe diventato tutto più semplice. Invece no, perché ogni volta devi entrare nella psicologia dei personaggi, del regista. E si ricomincia da capo».

Chi è il suo compositore di riferimento?

«Ce ne sono molti, inevitabile citare la grande tradizione italiana, da Morricone a Umiliani, da Piovani a Trovajoli, ma venendo dal punk come prima passione sono sempre stato affascinato dal percorso di Jon Brion: partito dal rock, è finito al cinema grazie a Paul Thomas Anderson con i lavori per Sydney e Magnolia ».

In Italia purtroppo si parla sempre troppo poco di musica da cinema. Com’è la situazione nell’ambito delle colonne sonore?

«Direi eccellente, abbiamo alle spalle una grande tradizione, ma il presente non è da meno, ci sono tanti ottimi compositori sulla scena, ma mi stupisce sempre che qui non si parli molto della musica da cinema, nemmeno nelle recensioni, in cui non viene mai citata, nemmeno per sbaglio. Ricordo che quando Cesare deve morire uscì in Inghilterra e in America in molti pezzi si menzionava la colonna sonora mia e di Carmelo, ma purtroppo qui non accade mai. Perché?».

Prossimi progetti?

«Migliore di Mattia Torre con Valerio Mastandrea e poi Una questione privata, il nuovo film di papà e zio, i fratelli Taviani, tratto da Beppe Fenoglio».

Andrea Morandi

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