Cinque stanze di Bruno Bigoni, un dramma da camera al Torino Film Festival

Sarà presentato al Torino Film Festival 40, il film di Bruno Bigoni sul peso delle cose, avute e perdute

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Cinque stanze

La sezione Fedeli alla linea della 40esima edizione del Torino Film Festival presenta Cinque stanze, primo lungometraggio di finzione di Bruno Bigoni, un film sul peso delle cose, avute e perdute. Il filmmaker milanese torna con un dramma da camera, di stanze, piene di spettri ricordi interpretato da Riccardo Magherini, Gaia Carmagnani, Debora Zuin, Federica Fracassi, Virginia Cuna, Carolina Cametti. Una Produzione Altamarea Film.

I limiti di un amore, l’esaurirsi del tempo a disposizione, la fine. Cinque stanze si infila nei meandri della vita di una coppia e ne svela le fragilità, giocando con il tempo e con gli spazi. Chi, dunque, ha creato questo labirinto di esitazioni, questo tempo di presunzioni, questo campo seminato di mille inganni, questa porta dell’inferno, questo paniere traboccante di astuzie, questo veleno che ha il sapore del miele, questo legame che incatena i morti alla terra?”, Nikos Kazantzakis.

Sinossi

K è un uomo ormai anziano, sposato da più di trent’anni con Lara, poco più giovane di lui. Il loro è stato un matrimonio d’amore, ma il lutto per la morte della figlia di quattro anni, che li ha colpiti ancora giovani, li ha lasciati fragili e disperati. Soprattutto da parte di K c’è stato un allontanamento, che nel corso del tempo è diventato indifferenza e sopportazione nei confronti di Lara.

Il film inizia e si svolge oggi. Negli ultimi sei mesi della sua vita, ormai prossimo alla pensione, K ha iniziato una relazione con una donna, Silvia, con cui divide molto del suo tempo. Lara, abbandonata a sé stessa, cerca di sopravvivere in questa convivenza fatta ormai di gesti meccanici e grandi silenzi. Fino al giorno in cui si ammala gravemente.

Incapace di comunicare con K, si chiude nel proprio dolore, mentre suo marito non è in grado neanche di rendersi conto della malattia della moglie, distratto com’è dalle sue cose e dall’amante. Lara decide di lasciare K, ma tutto precipita velocemente. Lara muore, Silvia lascia K e la sua vita prende all’improvviso una nuova direzione e un nuovo senso. Per K inizia il tempo dei ricordi, dei sensi di colpa, della rabbia e dei ritorni. I fantasmi di Lara e di sua figlia sono presenze inquietanti nella casa ormai abitata solo da K. Le lettere di Lara che K troverà seminate in casa, narrano la loro storia e mettono K davanti alla fragilità dei suoi sentimenti e agli errori commessi nei confronti di sua moglie.

Il senso di questo film non è rendere visibile l’invisibile, ma rendere visibile il visibile – dice il regista Bruno Bigoni – Uno dei tanti quotidiani che affrontiamo tutti i giorni. Pregno di tanti sentimenti, d’incapacità e desideri mancati. La sua forma, la struttura che mette in campo è la chiave della narrazione filmica.

Cinque stanze non è un film sul dolore ma sulla caduta, sulla difficoltà di alzarsi. C’entra il dolore sì, ma anche la costanza, il coraggio, la forza, il desiderio. Non tutti ce l’hanno queste qualità, e così si cade, cercando di non farsi troppo male. Lo sguardo che il film pone sui personaggi è affettuoso e mai irruento. Costruisce una sorta di geografia dell’anima di questi tre personaggi, legati a un destino comune: quello di vivere.

Ogni stanza raccontata, contiene a narra uno o più personaggi della vicenda. Definisce il luogo e in qualche modo ne determina il comportamento. Ciò che accade, trova il suo significato proprio nella stanza dove è avvenuto. Sono ovviamente riferimenti simbolici, spazi mentali, luoghi reali nella forma, ma immaginari nel vissuto dei personaggi.

In Cinque stanze cerco una forma “musicale” fatta di tensioni e di corrispondenze che si sviluppano nel tempo. Una certa circolarità senza un apparente baricentro, senza un vero protagonista, con tanti punti di vista sullo stesso accadimento. Cerco di dire agli spettatori che nella vita tutto è confuso, che è giusto avere punti di vista diversi su ciò che ci accade. Cerco di far uscire da ogni stanza raccontata un vissuto che sovente genera conclusioni contraddittorie, proprio come nella realtà di tutti i giorni”.