Nel porto militare di Taranto, sul sommergibile Cappellini ricostruito a grandezza naturale, Edoardo De Angelis gira Comandante, storia vera di Salvatore Todaro che nel 1940 salvò la vita di 26 uomini dopo l’affondamento del loro mercantile. Nei panni del protagonista c’è Pierfrancesco Favino.
Nel porto militare di Taranto in questi giorni si fa notare un sommergibile diverso dagli altri, illuminato dall’alto da un grosso faro, circondato da cavi e monitor, popolato da persone che ci riportano agli anni Quaranta. E proprio qui che Edoardo De Angelis gira il suo nuovo film, Comandante, con Pierfrancesco Favino nei panni del protagonista, Salvatore Todaro, un nome che probabilmente non dirà molto alla maggior parte delle persone.
Durante la Seconda Guerra Todaro comanda il sommergibile Cappellini della Regia Marina e nell’ottobre del 1940, mentre naviga in Atlantico, nel buio della notte un mercantile che viaggia a luci spente, il Kabalo, apre improvvisamente il fuoco contro l’equipaggio italiano. Scoppia una breve, ma violenta battaglia nella quale il Comandante affonda l’imbarcazione a colpi di cannone.
Ed è a questo punto che Todaro prende una decisione destinata a fare la storia: salvare i 26 naufraghi belgi (e il Belgio allora era ancora neutrale) per sbarcarli nel porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo sarà costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini.
Quando il capitano del Kabalo, sbarcando nella baia di Santa Maria delle Azzorre, gli chiede perché si sia esposto a un tale rischio contravvenendo alle direttive del suo stesso comando, il Comandante Todaro risponde con le parole che lo hanno reso una leggenda: “Perché noi siamo italiani”.
Scritto dallo stesso regista con Sandro Veronesi, che dalla sceneggiatura hanno tratto un romanzo la cui pubblicazione (Bompiani) è prevista per il prossimo 25 gennaio, prodotto da Pierpaolo Verga, Nicola Giuliano, Attilio De Razza e De Angelis (con un budget di 14,5 milioni) in collaborazione con la Marina Militare, Cinecittà e Fincantieri, Capitano, che si preannuncia come un vero e proprio kolossal, arriverà nelle sale nel 2023 con 01 Distribution e già rivela chiaramente nessi con un’attualità fatta di sbarchi negati, accoglienze controverse, polemiche internazionali.
“Non credo ci sarà spazio per strumentalizzazioni – commenta il regista che negli studi di Cinecittà girerà le scene negli interni del sommergibile – perché quella di Todaro è una storia limpida e dice una cosa molto semplice: la legge del mare è superiore a quella della guerra. Perché il nemico inerme non è più nemico, ma solo un altro uomo che va salvato. L’essere umano davvero forte è quello capace di tendere la mano al debole”.
“Il problema oggi – aggiunge Veronesi – è che si confonde il salvataggio con l’accoglienza. Se fosse vero che oggi le Ong si danno appuntamento con i migranti in mezzo al mare, anche io sarei indignato, ma non è così, io su quelle navi ci sono stato. E se la storia di Todaro nessuno la conosce è perché è sempre mancato un dialogo tra il mondo civile e quello militare, ricchissimo di storie memorabili. Todaro era un monarchico, e quando dice “noi siamo italiani” non lo fa per retorica: il soccorso in mare era sacro e non veniva mai messo in discussione. Sappiamo che per trent’anni i superstiti e i loro figli si recavano ogni anno a Livorno a onorare la sua tomba”.
Continua il regista: “Ho scoperto questa storia quando nel 2018 l’ha raccontata l’ammiraglio Giovanni Pettorino durante le celebrazioni dei 123 anni della Guardia Costiera, per dare ai propri uomini un memento su cosa fosse la loro missione in mare. Per convincere Sandro a scrivere con me la sceneggiatura gli ho preparato la mia famosa pasta e patate con un ingrediente segreto e abbiamo sviluppato il progetto costellato di eventi che solo apparentemente si manifestavano come coincidenze. Abbiamo avuto accesso all’archivio di famiglia, che contiene le lettere alla moglie Rina grazie alle quali abbiamo potuto ricostruire il pensiero del comandante, non un pacifista ma un militare fermamente convinto della propria missione che non gli ha impedito però di ricordarsi che cosa voglia dire l’umanità in mare”.
La battaglia nell’oceano e l’affondamento del sommergibile è solo una parte del film che poi si concentra sulla convivenza forzata tra equipaggio e naufraghi. “Il film segue il punto di vista di Todaro fino al salvataggio, poi ci si sposta nella scialuppa dei naufraghi. Il sommergibile è già un crogiolo di dialetti, culture, religioni, lingue e con i sopravvissuti il crogiolo si allarga e include anche uomini del Congo Belga. Il problema era la contiguità forzata dei corpi: il Cappellini diventa un ammasso di carne in cui non esistono più confini, ma un corpo continua nell’altro”.
Sul lavoro di Favino il regista commenta: “La scommessa che più mi affascina con gli attori è il condividere un desiderio di racconto. Di questo mestiere amo l’imprevedibilità del risultato finale, anche se preceduto da un meticoloso lavoro di preparazione e cerco l’essere umano più aderente allo spirito del racconto che voglio mettere in scena, puntando sulla possibilità che il suo gesto mi possa stupire, come se lo vedessi per la prima volta. Il desiderio con Favino è proprio quello di tirare fuori qualcosa che né io e né lui abbiamo ancora visto, qualcosa che sta nel profondo”.
Il Cappellini ricostruito a Taranto, trascinabile anche in mezzo al mare, è un vero gioiello costruito a grandezza naturale in otto mesi grazie alla sapienza di ingegneri, costruttori e artigiani che guidati dallo scenografo Carmine Guarino hanno forgiato 73 tonnellate di acciaio per uno scafo lungo 73 metri con tanto di varo avvenuto a Taranto nel bacino Ferrati della Marina.
Contemporaneamente è stato creato un modello digitale del sommergibile da usare in tutte le scene subacquee, in immersione. L’altra grande sfida del film è stata quella degli effetti visivi digitali curati da Kevin Tod Haug: grazie allo sviluppo di una tecnologia all’avanguardia utilizzata per la prima volta in assoluto, è possibile effettuare una sorta di post-produzione in tempo reale (compositing in “near real time”) che consente al regista di vedere già sul set una composizione quasi definitiva delle scene con un background virtuale che trasforma, ad esempio, il porto di Taranto nell’Oceano Atlantico. “L’obiettivo – continua De Angelis – è però quello utilizzare gli effetti come uno strumento, senza che prendano il sopravvento su quello che resta il totem estetico del film, il Cappellini. Il nostro vero effetto speciale è la storia, la scrittura dei personaggi”.
Nel cast anche Massimiliano Rossi e Silvia D’Amico, mentre i costumi sono di Massimo Cantini Parrini.