All’interessante The Box del 2021 (corto che combinava documentario, stop-motion e vignette per parlare di isolamento) era seguito il meno riuscito The Park, comunque interessante nelle premesse (con dei bambini a scontrarsi per il controllo di un parco a tema abbandonato) e negli spunti, comprensibile che ci fosse curiosità per questo secondo cortometraggio di Shal Ngo. E con il nuovo Control Freak, il regista di origine vietnamita regala un body horror – disponibile su Disney+ – che potrebbe attrarre quanti hanno scoperto il genere con il tanto decantato The Substance e che cerca di ampliarne i confini ammiccando al ‘medical’ e al soprannaturale.
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IL FATTO
Valerie “Val” Nguyen (Kelly Marie Tran) è una ‘guru’ tanto celebre da raccogliere centinaia, migliaia di persone nei suoi eventi. Organizzati con il marito Robbie (Miles Robbins) e nei quali promuove i propri libri e le proprie teorie, mirate alla crescita individuale, e arringa le folle con discorsi motivazionali. Ma qualcosa la tormenta, un prurito costante e intollerabile sulla parte posteriore della testa che la spinge a grattarsi incessantemente, al punto da procurarsi una ampia ferita. Ma questo è solo l’aspetto più evidente, superficiale, fisico, di un problema più profondo. Quello che non sembra potersi curare come la misteriosa infezione che sembra affondare le radici nella sua storia e nella sua terra natale, una sorta di parassita che dovrà affrontare prima di esser costretta a rinunciare a tutto.
L’OPINIONE
È davvero molta la carne al fuoco nel film di Shal Ngo, al quale va dato il merito esser riuscito a presentarla (quasi) tutta degnamente, pur passando da un film all’altro non sempre con l’equilibrio necessario. O consigliabile, in una storia che ci accoglie parlando di consapevolezza, fiducia in sé stessi e crescita personale e che sposta presto i riflettori sul dietro le quinte di uno show di successo mescolando amore, paura, vergogna e disperazione nel contesto di un inusuale medical horror soprannaturale. Che parla della pressione che la società esercita su di noi e che ognuno di noi, più o meno consapevolmente, introietta fino al punto di darle corpo, o la forma che sceglie il film, di un mostruoso e incontrollabile parassita.
Un tormento antico, che affonda le radici in un trauma familiare, o quello che sembrava esserlo, dal quale non poteva che discendere una serie di conseguenze non raccomandabili. Molte delle quali Ngo cerca di affrontare, come detto, puntando su una prima parte molto corporea, a catalizzare l’attenzione con premesse promettenti, per poi andare a mostrarci le conseguenze della dipendenza, dalle droghe e non solo, del senso di colpa e dei non detti di una famiglia disfunzionale e pericolosa, violenta in qualche maniera, oltre a accenni a temi universali, qui declinati al femminile e associati – non a caso – alla figura di Val.
La scelta di restare coerente con il delirio paranoide della sua protagonista consente alla storia di resistere agli sbandamenti conseguenti all’auto boicottaggio messo in atto dalla donna – oltre che dal sovraffollamento accennato, che purtroppo ne fiacca il ritmo – e al regista di mettere in scena un horror motivazionale molto personale, un film sicuramente diseguale, non originale nelle sue singole componenti, eppure forte di una sincerità che quello della Fargeat non aveva (né voleva avere, probabilmente) e di una crudezza – ben resa da fotografia e inquadrature – che insieme a un tentativo latente di introspezione si evolve in una lotta più personale con il dolore. Un disturbo che prende corpo e viene portato all’esterno, mostrato come creatura mostruosa da affrontare, spingendo la storia su binari più classici e verso un finale delirante e il suo piccolo colpo di scena.
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SE VI È PIACIUTO CONTROL FREAK, GUARDATE ANCHE…
Abbiamo già citato il sopravvalutato The Substance, riferimento imprescindibile e comunque capace di scatenare un vero fenomeno, oltre che di attrarre l’attenzione dei più su una sottocategoria filmica fin troppo trascurata, ma – dando per scontato che abbiate già visto quello – vi consigliamo di recuperare un classico cult del genere come il Society di Brian Yuzna o il più recente e un po’ naive The Ugly Stepsister.