IL FATTO
New York 1974. James lavora presso la galleria d’arte che ospiterà la prossima esibizione del genio Salvador Dalí. Quando l’artista in persona gli propone di diventare suo assistente, il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quel che luccica. Dietro allo stile di vita sgargiante, al glamour e ai party sontuosi, un grande vuoto consuma l’ormai anziano pittore, divorato dalla paura di invecchiare e dal dolore per il rapporto logoro con la dispotica moglie Gala, un tempo sua musa, ora circondata da giovani amanti e ossessionata dal denaro.
L’OPINIONE
In una scena del film, che osserva con lucidità un delirio trasformarsi in tragedia, il giovane James raccoglie in un volumetto le tante firme usate da Dalí per le sue opere, forse per dire che nulla è come sembra, neppure il grande maestro. Per questo regista e sceneggiatore hanno scelto il punto di vista del giovane e ingenuo assistente per introdurre lo spettatore nel fantasmagorico, eccessivo mondo anni Settanta (quando il culto dell’arte cominciò a mescolarsi con la cultura del denaro) di Dalì e della sua musa e “padrona” Gala, dipinta come una donna avida e ridicola nella sua missione di pigmalione di giovani, discutibili talenti. Perfetto il vulcanico Ben Kingsley nei panni del controverso e megalomane genio pop spagnolo ormai al crepuscolo, che cerca di ingannare la morte imbellettandosi, arricciando i suoi leggendari baffi, diventando la caricatura di se stesso, dipingendo forsennatamente solo per sostenere uno sconsiderato tenore di vita e circondandosi di parassiti e di donne (tra cui Amanda Lear) per una sessualità che apparteneva solo all’opera del pittore, non alla sua vita.
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Destino, il cortometraggio di animazione che Dalí realizzò con Disney nel 1945, e i due lavori di Luis Buñuel sceneggiati dal pittore surrealista, Un cane andaluso e L’âge d’or.
