Diego Armando Maradona, il film di una vita

Lo hanno raccontato in molti, o almeno ci hanno provato. Perché la sua vita è una sceneggiatura folle e perfetta

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L’ultimo è stato Asif Kapadia, a provare a raccontare Diego Armando Maradona. Il documentario del regista londinese è stato dai più acclamato, anche giustamente. Chi di Maradona è cresciuto lo ha trovato sin troppo a tesi e concentrato su scandali, eccessi, cattive frequentazioni, facendone una figura patetica, cosa che certamente è stato per un periodo della sua vita. E forse, ma solo forse, per un inglese c’era anche un sottile piacere nel raccontarlo così. Ma è pur vero, d’altra parte, che quella sua totale svestizione del mito ne hanno dato a un pubblico sin troppo critico nei confronti dell’uomo Maradona una dimensione più umana.

Flashback. Stadio Azteca di Città del Messico. Argentina-Inghilterra. 22 giugno 1986.

La guerra delle Falkland è finita da quattro anni e una settimana. Tra le due nazionali non corre buon sangue. Al 51’ c’è un cross dalla destra, Maradona anticipa il portiere apparentemente di testa. Il goal viene convalidato, nonostante le proteste dei giocatori e della panchina inglese. Maradona ha evidentemente colpito la palla con la mano, beffando il portiere inglese Peter Shilton.

55’. Diego Armando Maradona prende palla oltre la linea di centrocampo, e poi. Leggenda.

Quale sceneggiatore avrebbe potuto scrivere una storia come questa?

Maradona era il calcio, e al calcio ha dato un’epica che nessuno prima di lui era riuscito a infondere. Neanche Pelè, con cui si contende da sempre la palma del migliore.

Ma se da una parte Pelé è stato celebrato come una divinità perfetta, capace addirittura di sconfiggere i nazisti con un’iconica rovesciata in Fuga per la vittoria, nonostante i suoi bravi sassolini li avesse anche lui nella scarpa, Maradona è sempre stato visto come il ribelle, l’outsider, il Motorcycle Boy di Rusty il Selvaggio, guarda caso interpretato da quel Mickey Rourke che ha conosciuto i successi più grandi e che oggi è una grottesca caricatura di quel se stesso che fu. E che ha in qualche modo vestito i panni di un Maradona nel magnifico The Wrestler.

Genio e sregolatezza, sembra un cliché, ma è tanto, troppo vero. Per questo il Diego Armando Maradona più vero, pur nella sua per definizione falsità cinematografica, è quello di Maradona by Kusturica, biografia forse quasi più del regista, a cui piace specchiarsi nel campione che fu per celebrare il regista che era.

Ma queste sono sottigliezze. Maradona, come nei migliori film sportivi, è stato quello che ha sofferto quando stava per afferrare il sogno. The Natural, è il titolo di un romanzo di Bernard Malamud da cui fu tratto un bel film con Robert Redford, Il migliore. La storia di Roy Hobbs, un predestinato del baseball la cui carriera viene spezzata, ma neanche il tempo può fermare il suo immenso talento. Lo stesso è successo per D10S, con la differenza che lui non era Robert Redford, quindi niente gli è stato perdonato.

E niente si è perdonato lui stesso. In questo è stato un eroe tragico e romantico, un Charles Foster Kane del calcio che il potere, il quarto ma anche tutti gli altri, lo ha sempre subito. La squalifica per doping, chiamiamola così, dei mondiali statunitensi del 1994, sembra uscita da un thriller fantapolitico degli anni Sessanta, la giusta vendetta nei confronti di chi ha cercato di sfidare il sistema. E da lì, l’inesorabile caduta.

Non c’è stato un momento della vita di Diego Armando Maradona che non potrebbe essere trasformato in un film. O in una serie, che presto arriverà, targata Amazon, con alla regia anche Edoardo De Angelis.

Senza Maradona poi, forse non ci sarebbe un pezzo importante di cinema italiano. Quello di Paolo Sorrentino, che se è vivo lo deve a lui, e ce ne racconterà il perché in È stata la mano di Dio, di cui ha finito le riprese da pochissimo.

Ma forse Paolo, bisogna riscrivere il finale.