Ashgar Farhadi, dal Premio Oscar al prossimo film con Penélope Cruz e Javier Bardem

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Come annunciato, il regista iraniano Ashgar Farhadi non ha partecipato alla cerimonia di premiazione dei Premi Oscar, come gesto di protesta contro la politica del Presidente Trump sull’immigrazione. “E’ un grande onore vincere questo premio per la seconda volta” – ha scritto Farhadi nella lettera all’Academy – “Ringrazio i membri dell’Academy, la mia troupe, i miei produttori. Mi dispiace non esserci. La mia assenza è dovuta al rispetto verso i miei concittadini e gli abitanti degli altri sei paesi a cui una legge disumana ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti. Dividere il mondo tra “noi” e i “nemici” crea paure, e produce una giustificazione ingannevole per la guerra. Il cinema può catturare le qualità degli uomini, combattere gli stereotipi e creare un’empatia tra gli esseri umani che oggi serve più che mai”.

Talento e buon senso: non capita tutti i giorni di incrociare autori dotati di queste qualità che tendono, solitamente, a confliggere. Asghar Farhadi le possiede entrambe, le gestisce in perfetta armonia, e se il talento continua a mostrarlo nell’indiscussa qualità delle sue opere, il buon senso si è manifestato dopo il successo di Una separazione, che nel 2011 gli ha fatto vincere ogni premio possibile, dall’Orso d’oro all’Oscar passando per il Golden Globe. Poteva montarsi la testa, invece Farhadi è rimasto profondamente umile, unico modo per sopravvivere non solo a roboanti classifiche come quella del Time che nel 2011 lo indicava fra le 100 persone più influenti del pianeta, ma anche alla propria poetica, da sempre concentrata su obliqui drammi esistenziali, per lo più innervati nelle relazioni di coppia. Non fa quindi eccezione Il cliente – settimo lungometraggio e premiato a Cannes per la sceneggiatura e per il miglior attore, Shahab Hosseini – girato nuovamente nel suo Iran, «che mi mancava troppo», spiega, «dopo il periodo trascorso a Parigi per girare Il passato».

Il cliente

 

In realtà Farhadi aveva già in tasca un biglietto aereo per la Spagna dove lo attendeva Pedro Almodóvar pronto a produrre un nuovo film, ma il richiamo della patria si è fatto urgente e Pedro ha così atteso, ma solo per un po’. De Il cliente, «avevo la storia da tempo, sparsa in annotazioni quotidiane, ma sembrava non fosse mai il momento giusto per darle una forma». Protagonisti non sono solo Emad e sua moglie Rana, bensì il mondo loro attorno che va in frantumi. Perché il film è un sublime racconto sulla rottura a più livelli che parte dall’intimità e si materializza nei muri delle case di una Teheran in rapida mutazione. «Perché i muri di casa sono le nostre certezze, quando crollano andiamo inevitabilmente in crisi».

Una volta trasferiti in un nuovo appartamento, Rana è vittima di una “violazione” che mette a repentaglio la dignità propria e del marito, portando la rottura fra le mura della fiducia reciproca. I punti di vista divergono: la donna tende a perdonare, a riparare; l’uomo s’irrigidisce sul desiderio di vendetta. «Io stesso quando vedo qualcosa di danneggiato, qualunque cosa, mi viene spesso voglia di distruggerlo completamente per ricostruirlo», confessa Farhadi, «ma poi capisco che non ho il diritto di farlo. Penso che le relazioni umane siano gli edifici più complessi da mantenere sani, specie se sono fragili. E costruirle su basi solide non è sempre facile».

Una separazione

Impossibile non scorgere tra le crepe dei muri piuttosto che nell’incrinarsi di un rapporto la metafora dell’Iran, antico luogo sensibile perché ferito da troppi soprusi. Farhadi – classe 1972, cresciuto nella provincia di Isfahan – ha scelto di rimanervi, al contrario di tanti colleghi e artisti esiliati, e pertanto non può che adattarsi alla censura. Lo ha sempre ribadito commentando le proprie opere – almeno quelle arrivate qui, cioè dal quarto film, About Elly in poi – che l’unico modo per parlare del disagio in un Paese non libero è quello di usare «l’arte ad arte». Metonimicamente, ogni messa in scena del privato si apre dunque anche ad altre valenze: indimenticabile il primo piano di sofferenza della figlia di Nader e Simin sul finale (aperto) di Una separazione, consapevole che stare con un genitore escluderà l’altro, come stare in Iran esclude la libertà.

In tal senso, Il cliente è ancor più radicale nella metafora perché offre il triplice salto mortale del meta-racconto teatrale: i protagonisti sono attori e metà della loro esistenza (come del film) si consuma su un palcoscenico. Non è un caso che il titolo della pellicola (The Salesman, in originale) rievochi Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller (Death of a Salesman), pièce che gli stessi Emad e Rama stanno mettendo in scena. «Mi sono formato sul teatro, il mio primo e grande amore. Ho scritto la tesi sui silenzi di Harold Pinter, non smetto mai di riferirmi a Ibsen, mia guida spirituale nella traduzione della complessità». E adesso, archiviato Il cliente e incassato l’Oscar al miglior film straniero, Farhadi è pronto per la Deseo di Pedro e Agustín Almodóvar con cui nei prossimi mesi girerà il suo nuovo film, ancora senza titolo, ambientato nella Spagna rurale. Nel cast, un’altra coppia: Javier Bardem e Penélope Cruz, da sempre grandi fan del cinema del regista iraniano.

Anna Maria Pasetti

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