Si è parlato di “film-trasferello” come all’epoca (1998) fu il remake di Psycho diretto da Gus Van Sant, ma il live action di La Bella e la Bestia di Bill Condon è molto più di un calco del celeberrimo cartoon del 1991. Quando Walt Disney iniziò a realizzare i suoi immortali cartoni animati, fin dal primo titolo, ossia Biancaneve e i sette nani (1937), decise di offrire ai suoi animatori un supporto, girando dei veri e propri film (con scenografie ovviamente limitate) con attori che incarnavano i vari personaggi e recitavano tutte le scene previste dalla sceneggiatura. Queste scene con la tecnica del “rotoscopio” (tecnica di animazione utilizzata per creare un cartone animato in cui le figure umane risultino realistiche: il disegnatore ricalca le scene a partire da una pellicola filmata in precedenza) si sono trasformate nei capolavori animati che conosciamo.
La Bella e la Bestia (2017) diretto da Bill Condon, regista-autore colto e raffinato (Demoni e dei, Kinsey, i primi due titoli della saga Twilight), rappresenta il primo Disney movie che applica la tecnica inversa, una sorta di “rotoscope” all’incontrario, che ricostruisce con gradevolissima fedeltà e stupore, per un live action le scene del film animato. L’autorevole “Variety” lo ha definito: “Miscela a volte estasiante, a volte bizzarra di ri-creazione e rivisitazione”. Siamo pronti a scommettere anche per il futuro degli imminenti live action (prossimi Aladdin e Mulan) che maggiore aderenza al cartoon verrà data, maggiore sarà il successo che i film riscontreranno. Le situazioni aggiunte che conferiscono maggiore credibilità e spessore ai personaggi umani sono minime e appropriate.
Da antologia del “bizarro” la sequenza di “Be Our Guest”: fantasmagoria digitale in excelsis ove la “Computer-Generated Imagery” è al servizio di una sequenza degna dei musical di Busby Berkeley passati alla storia del cinema per le loro “geometrie poetiche”. E non possiamo non menzionare la “weirdness” del castello del Principe/Bestia che la Production Designer, Sarah Greenwood, già con quattro candidature agli Oscar alle spalle, ha creato con uno stile misto “senza tempo” , ove sono presenti motivi e design architettonici del XVII secolo francesi e italiani con marmi e cariatidi a forma di demoni e draghi, soffitti ispirati alla abbazia benedettina di Braunau in Germania, nonché a una storica biblioteca portoghese.
Infine un cenno relativo alle (sciocche) polemiche sollevate dall’inclusione nel film di un personaggio gay, Letont, il factotum di Gaston. Negli Stati Uniti c’è chi si è rifiutato di proiettare il film nelle sale (un cinema in Alabama), mentre in Russia il titolo è stato vietato ai minori di 16 anni. Al di là del fatto che l’interpretazione di Josh Gad è misuratissima e di gran classe, essa non turberebbe neanche il più smaliziato bambino di questo mondo o la più retriva e reazionaria coppia di genitori. E a dirla tutta, la “Mouse House” aveva già proposto nel lontanissimo 1941 e orgogliosamente il suo primo personaggio omosex ovvero “Il drago recalcitrante”, amante delle poesie, del flauto e della buona cucina; per non dire delle “nuances gay” regalate al Toro Ferdinando e allo Stregatto e poi – Holy Socks! – in anni recenti alla “coppia” Timon & Pumba del Re Leone o a Scar, nonché al gran visir Jafar di Aladdin. Questi ultimi due caratteri disegnati dal magnifico animatore Disney – gay dichiarato- Andreas Deja.
Marcello Garofalo