I 40 anni di Alien: ecco perché il film di Ridley Scott ha terrorizzato il mondo

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La fine degli anni ’70 ha segnato anche il trionfo della nuova fantascienza adulta. Grazie allo sviluppo della tecnologia, l’incredibile poteva diventare possibile o quanto meno venir mostrato. Star Wars, Incontri ravvicinati del terzo tipo e poi due anni dopo, il capolavoro choc di Alien, firmato da Ridley Scott (e con E.T. e La Cosa lì a presto da venire).

1979, esattamente 40 anni fa, la creatura più terrificante e pericolosa mai concepita da mente creativa umana invase gli schermi (e i corpo degli attori) e ancora oggi ogni tanto vi ritorna, senza percettibili segni di invecchiamento. Il Trieste Science+Fiction Festival (29 ottobre – 3 novembre) giustamente lo festeggia. Lo ha riproposto in veste “sciccosa” ad apertura in pompa magna al Politeama Rossetti e il 30 ha provato a indagare sui “misteri” delle sue origini con un interessantissimo documentario di Alexandre O. Philippe, Memory: The Origins di Aliens.

Alexander O. Philippe al Trieste Scince+Fiction Festival

Acuminato e devoto senza bigottismi, Philippe (che è documentarista cinefilo, a lui dobbiamo anche ricognizioni-ritratti su George Lucas, William Friedkin e il Michelangelo Antonioni di L’eclisse) organizza la sua tesi su due direttrici. Da una parte il riconoscimento del talento visionario e specifico di personalità molto aperte e quasi specializzate nella creatività del fantastico, a partire dallo sceneggiatore Dan O’Bannon (1946-2009) che tra l’altro nel 1974 diede a John Carpenter soggetto e copione di Dark Star, che con occhi in prospettiva potremmo definire una sorta di Alien (ma sì!!!) versione comedy, ovvero il motore non immobile, per proseguire con il disegnatore Hans Ruedi Giger (1940-2014), macabro e geniale post-surrealista a cui si deve proprio il progetto e quindi l’aspetto fisico dell’Alien (lo xenomorfo, in particolare dal dipinto Necronom IV) poi realizzato con il contributo fondamentale di Carlo Rambaldi (1925-2012) e finendo ovviamente con Ridley Scott. Il regista prese in mano il progetto, lo strutturò nello story-board, coinvolse Giger su stimolo di O’Bannon, organizzò il cast e girò quello che snobbato inizialmente da qualcuno come “in pratica è solo un’intergalattica casa stregata genere thriller ambientato all’interno di un’astronave” (definizione del pur insigne Roger Ebert che poi si ravvide) è oggi considerato un capolavoro assoluto, un cult imprescindibile per ogni storia del cinema, non solo fantastico.

 

 

Se questa è una, inevitabile, direttrice del documentario, l’altra ci appare ancor più succosa e in qualche modo vuole essere una risposta ai quesiti: “Perchè Alien ci terrorizza e perché ci è piaciuto così tanto?”. La risposta sta nell’immaginario collettivo, nel nostro inconscio. A partire dalla mitologia greca (e qui Philippe inserisce un terrificante brano dalla Medea di Euripide con le Erinni, con tanto di denti aguzzi di metallo, in un allestimento che evidentemente non per caso tiene conto proprio dei film di fantascienza contemporanei) e quella egizia, per poi citare, saltando di millenni, la cultura pop, con il cinema di fantascienza dei ’50 e la paura dell’apocalisse atomica e i mostri insettiformi, quindi quella underground dei ’70, e poi ancora la letteratura “malata” e da incubo di Lovercraft e le visioni deformate e straziate della pittura di un Bacon.

Ovviamente anche la scienza non viene trascurata, infatti lo spaventoso ciclo vitale della creatura è nato proprio da un accurato studio sulla parassitologia. Quindi, in qualche modo, Alien sviluppa e acutizza paure e ribrezzi – e anche ideologie (ma sì) – che come parassiti mentali vivono e allignano nel nostro subconscio collettivo. Per questo tutto il mondo si è spaventato e siccome non c’è come la paura (specie quando alla fine perde e viene esorcizzata!) a dare piacere ed dipendenza, da Alien è nata una progenie di sequel, apocrafi e derivazioni da filone specifico “a parte”. E un Festival come quello di Trieste, non può che celebrarlo.