I PONTI DI MADISON COUNTY

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I ponti di Madison CountyI grandi amori destinati a durare tutta la vita devono necessariamente nutrirsi di rinunce, di rimpianti, e interrompersi prima che il trascorrere del tempo possa iniziare a corromperli? In una perfetta visione romantica, sembra di sì. Il nostro bisogno di emozioni, di sentirci “vivi”, tende a respingere questa idea, che funziona tanto bene nell’arte, ma, ripensando al passato sono spesso quelle “nobili rinunce” a regalarci la malinconica illusione di essere stati brevemente protagonisti di una grande passione che ci accompagnerà per sempre. I ponti di Madison County ci chiede proprio di abbandonare ogni cinismo e ritrovare nei nostri ricordi quel dolce e masochistico sentimento. E in questa chiave funziona egregiamente. Credo che il film sia ormai abbastanza famoso da non stupire per il suo tono romantico, apparentemente molto distante dalla natura del suo regista e interprete Clint Eastwood. Ma nel 1995 rivelò un aspetto nuovo del suo grande talento.

I ponti di Madison CountyIl romanzo omonimo di Robert James Waller fu un grande successo e il progetto di trarne un film passò di mano in mano e molti furono i volti momentaneamente associati ai personaggi già famigliari a tanti lettori. Oggi è difficile immaginare una scelta migliore perché Eastwood e Meryl Streep sono assolutamente perfetti e da soli reggono una storia che con estrema grazia rende l’incredulità di due individui non più giovani e appartenenti a realtà molto diverse nel riscoprire il desiderio e la possibilità di innamorarsi ancora. Eastwood è Robert, fotografo del National Geographic arrivato nella contea per fotografare i suoi celebri ponti coperti. Streep è Francesca, una casalinga di origine italiana, rimasta da sola nella sua fattoria nell’Iowa mentre figli e marito si regalano una visita alla Fiera dell’Illinois. Un casuale scambio di parole porta all’offerta di una bevanda fresca e lentamente due solitudini cominciano a riconoscersi. Lo sceneggiatore Richard Lagravenese situa la storia in un flashback quando, dopo la morte di Francesca, i suoi due figli ormai adulti, attraverso le pagine del suo diario, scoprono di non aver mai realmente conosciuto la madre.

I ponti di Madison CountyAver situato la storia in un passato ormai perduto è un’idea vincente ma il film riconquista in pieno il suo discreto incanto appena i protagonisti tornano a impossessarsi dello schermo. Streep, regina incontrastata degli accenti, ha qui la sua unica occasione – sino ad oggi – di recitare da italiana, senza mai cadere nel cliché, e di evocare Anna Magnani in piccoli tipici gesti, come passare una mano sotto l’abito fra il collo e il seno. La struttura narrativa rivela da subito la rinuncia alla felicità e non credo quindi di aver anticipato nulla che potesse sminuire il piacere dello spettatore. Che forse si interrogherà sulla necessità di questa scelta, senza la quale il film e il romanzo non avrebbero ragione di esistere. Ma come è stato notato da spettatori più illustri di me, questo racconto “morale” ci dice che anche di fronte alla promessa di una grande felicità personale, due individui responsabili possono scoprire – sia pure con tristezza – che la propria felicità non è necessariamente il traguardo più importante della vita.