Elena Radonicich, l’attrice senza etichette fra Elisabetta Sgarbi, Montalbano e La porta rossa 2

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Un uomo, una donna misteriosa, i segreti di un passato inaspettato che riaffiora, intrecciando le vite private alla memoria collettiva: sono i temi di I nomi del signor Sulčič, il nuovo film di Elisabetta Sgarbi, il primo di finzione dopo una densa filmografia di documentari, al cinema dal 7 febbraio di distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

Stavolta la regista (anche editrice con La Nave di Teseo) dipinge il suo ritratto intimo di personaggi di fiction sullo sfondo vero della guerra e dell’Italia fascista, tra spie naziste, fascisti, milizie di Tito, identità vere e false, padri e figli, veri o presunti tali. La storia racconta di Irena Ruppel (Lučka Počkaj), una donna slovena che ha scoperto cose inaudite della sua vita. In compagnia della sua amica e ricercatrice universitaria Ivana (Ivana Pantaleo), arriva in una valle remota nel Delta del fiume Po e trova il valligiano Gabriele (Gabriele Levada) del quale sembra sapere molte cose. Gabriele è incuriosito e sconcertato da questa affascinante donna slovena, che sembra non parlare italiano, ma che pare capire tutto quello che accade. Irena lascia a Gabriele un indizio con il suo nome e una località di confine tra Italia e Slovenia lungo il fiume Isonzo, Tolmin: l’uomo non resiste e si mette sulle tracce di Irena, in un viaggio che gli spalancherà la verità sull’identità dei suoi genitori e su se stesso.

I nomi del signor Sulčič: la “messaggera” Elena Radonicich

Nel cast c’è anche Elena Radonicich, l’attrice piemontese (ma di origini montenegrine e croate) che attraversa il cinema d’autore da sempre ma che è diventata amatissima dal grande pubblico soprattutto per il ruolo della poliziotta Stella Mariani nella serie tv di Raidue La porta rossa, che ripartirà con la seconda stagione dal 13 febbraio. E l’11 febbraio la vedremo anche su Rai Uno in L’altro capo del filo, il primo dei due nuovi episodi de Il Commissario Montalbano. Nel film di Elisabetta Sgarbi, invece, ha un ruolo carico di suggestioni diverse. «Il mio personaggio è un’amica di Irena che si fa messaggera per guidare Gabriele alla scoperta della verità sul suo passato», racconta l’attrice. «Lo aiuta, insomma, a mettere insieme i pezzi di una verità che non conosce. E gli mostra questa verità con un po’ di seduzione, un po’ di divertimento, come una specie di Virgilio. È una storia di separazione e ricongiungimento, ma la domanda centrale che pone il film rimane aperta: cosa devi fare di quello che sai del tuo passato? Scoprirlo è sempre importante oppure no?».

Elena, lei aveva già lavorato con Elisabetta Sgarbi nel film a episodi Racconti d’amore. Com’è il lavoro con una regista dalla cifra così sperimentale?

Racconti d’amore fu un’esperienza molto diversa: in uno degli episodi interpretavo una proiezione di Micol de Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, con la voce narrante di Toni Servillo. Elisabetta ti trascina nel suo mondo in modo empatico, attraverso suggestioni, immagini e il suo sguardo curioso e gentile sugli attori. ha un modo di approcciarsi alla realtà molto incantato, filtrato dall’influenza letteraria. Con lei tutto è inusuale, dalle sceneggiature ai tempi di lavorazione, ma lavorare insieme è una bellissima esperienza umana. Visione molto particolare delle cose e vorrei dire “fuori moda” ma non per forza legato alla nostalgia del passato ma a un modo di approcciarsi alla realtà molto incantato.

Il film esce in occasione del Giorno del Ricordo, e spesso i film della Sgarbi sono legati al tema della memoria…

Il tema è la memoria di ciò che si è fatto, la responsabilità di volersene liberare. Quando si parla di memoria tocca ricordarsi di tutte le fughe, le paure, e di come la storia che viviamo incida anche sull’esistenza dei nostri figli. Il film parla anche di come tutto ciò che non si ricorda venga dimenticato, e questo nel presente ci espone a dei rischi ancora maggiori.

Le emozioni di La porta rossa 2

Sta per tornare in onda La porta rossa, che l’ha consacrata definitivamente al grande pubblico. Cosa significa questa serie per lei?

Avevo già partecipato alle serie 1992, 1993 e 1994 ma con un ruolo meno preponderante, quindi La porta rossa ha segnato per me la prima volta in cui sono davvero entrata in contatto con il pubblico. La gente mi conosce e mi dice spesso: “Come sei diversa da Stella Mariani!”. Stella, insomma, per gli spettatori in qualche modo è reale. E poi La porta rossa si rivolge a un pubblico trasversale, è una storia che tocca tante corde e ne soddisfa altrettante: mi inorgoglisce farne parte. Tutti ci siamo subito resi conto di avere a che fare con un materiale speciale, con un plot di sceneggiatura particolarmente ben orchestrato.

Elena Radonicichh e Gabriella Pession in La porta rossa

Nel cast di La porta rossa c’è anche suo marito, Gaetano Bruno, nel ruolo del poliziotto Diego Paoletto. Com’è cambiata la vostra vita durante i cinque mesi di riprese a Trieste?

Nella vita di un attore ci sono le esperienze più disparate, siamo abituati a cambiare spesso luoghi sia interiormente che fisicamente, ma in questo caso per la prima volta non siamo quasi mai andati via da Trieste. È stato un pezzo di vita. Gaetano ed io ci siamo trasferiti lì con nostra figlia, che ha anche frequentato l’asilo in città. È stato un cambiamento radicale, ma siamo stati fortunati: la città è molto bella e accogliente, e il progetto della serie importante.

In quali altri progetti la vedremo prossimamente?

In primavera uscirà su Sky arte Io e lei, un progetto in sei mockumentary nei quali altrettante attrici cercano di costruire una figura fondamentale dell’arte del ‘900: io interpreto Marlene Dietrich. Poi uscirà Metti una notte con Cosimo Messeri, strampalata commedia con sapore rétro nella quale recito con Cristina Capotondi e Amanda Lear, un film con una grazia rarissima. Uscirà al cinema in primavera anche l’opera seconda di Laura Chiossone Genitori quasi perfetti, nel quale un gruppo di genitori si confronta a una festa per i bambini  facendo scaturire una situazione claustrofobica, amara e a tratti grottesca rispetto alla genitorialità. Sono tutte cose diverse tra di loro: mi eccita non potermi catalogare, anche se per un attore è rischioso. È una continua sfida a non cedere alla tentazione, anche comoda, di fare ciò che ti viene semplice.