Everything Everywhere All at Once e il folle multiverso dei The Daniels

Everything Everywhere All at Once arriva nei nostri cinema. Abbiamo incontrato The Daniels, la coppia dietro questo film folle e geniale.

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The Daniels

È stato l’inaspettato successo della primavera cinematografica americana, il più grande incasso della storia di A24 (70 milioni di dollari al box office americano), la major indipendente che, come fece la Miramax dei fratelli Weinstein trent’anni fa, sta ridefinendo i rapporti di potere all’interno dell’establishment produttivo e distributivo hollywoodiano. Everything Everywhere All at Once arriva finalmente anche in Italia (dal 6 ottobre nei cinema distribuito da I Wonder Pictures), all’inizio di una stagione dei premi che potrebbe vederlo protagonista, a partire dalle sue star femminili, Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis, entrambe fortemente indiziate di nomination rispettivamente come protagonista e non protagonista. Ma nel cast troviamo anche due icone del cinema degli anni Ottanta, Ke Huy Quan (Short Run di Indiana Jones e il tempio maledetto e Data ne I Goonies) e James Hong (Lo Pan in Grosso Guaio a Chinatown).

Michelle Yeoh è Evelyn Wang, proprietaria di una lavanderia che si trova a dovere gestire un marito che non riesce stare al passo con lei, una figlia omosessuale che vuole prendere la sua strada nella vita e l’anziano e intransigente padre arrivato dalla Cina. Ma la cosa peggiore della giornata che si appresta a vivere è Deirdre Beaubeirdre (Jamie Lee Curtis), la più severa impiegata dell’ufficio delle imposte che sta revisionando la sua dichiarazione dei redditi. Quello che non può immaginare è che il destino di tutto il multiverso dipende da lei.

I creatori di questo viaggio lisergico e divertentissimo sono Dan Kwan e Daniel Scheinert, nome d’arte The Daniels, al loro secondo film insieme dopo l’altrettanto folle Swiss Army Man, con Daniel Radcliffe e Paul Dano. Dopo avere passato un po’ di tempo in loro compagnia abbiamo capito come e perché è nato questo inarrestabile tour de force.

Partiamo dal processo di scrittura, perché non è facile inventarsi qualcosa di assolutamente inaspettato ogni 35 secondi.

D.K. 35 secondi, dovremmo ricontrollare, ma credo non sia troppo lontano dalla realtà. Il fatto è che ci sono due cervelli che lavorano in parallelo, quindi abbiamo il doppio delle idee, e l’abbondanza talvolta è un problema, la cosa più difficile è organizzare la quantità di cose che ci viene in mente per farne un racconto avvincente e che abbia senso, perché come avrai notato, le situazioni che inventiamo tendono a essere un po’ strane e difficili da realizzare. È un metodo ambizioso: proviamo la scena, aggiungiamo battute per renderla più divertente, ce la passiamo di mano così tante volte che alla fine non ricordiamo più chi ha avuto l’intuizione per primo.

D.S. E spesso succede che uno dica «Oh, questa è un’idea terribile» e l’altro «No, è ottima». Poi litighiamo e il litigio la migliora. La cosa più importante è: possiamo collegare queste idee a qualche tipo di emozione?

Direi che ci siete riusciti, perché questo film parla di quanto sia difficile essere una famiglia, e ho idea che ci sia qualcosa di autobiografico in questo assurdo multiverso.

D.S. È come se in un film solo avessimo cercato di spiegare ai nostri genitori tutti i cortometraggi che abbiamo fatto in passato. Solo che ancora ci chiedono che lavoro facciamo.
D.K. Ma prima di tutto volevamo esplorare cosa si prova a vivere oggi. Siamo immersi nel caos e nonostante cerchiamo di ordinarlo ci siamo persi, e come noi molti altri, perché non sappiamo come vivere, esistere e sopravvivere in questo caos. Il film è stato un modo per esplorare gli strumenti e le tecniche che abbiamo per vivere in questa condizione. Magari è un cliché, ma credo che l’unica cosa che ci possa aiutare siano le persone a cui siamo legati, e questa per noi è la famiglia.

Michelle e Jamie Lee Curtis: avete messo insieme una grande coppia. Fanno parte anche loro della famiglia adesso.

D.W. Abbiamo avuto fortuna, si sono amate dal primo istante e cercavano di superarsi a vicenda, si prendevano rischi sul set e credo che entrambe fossero felici di fare qualcosa di rischioso e strano.

D.S. Come se dicessero “Ok, ora è il mio turno, ballerò con le dita fatte di hot dog o farò questa strana scena di combattimento”. Hanno scoperto di avere molte cose in comune, e non ce lo aspettavamo. Vengono da ambienti completamente diversi, ma per esempio Jamie Lee è una delle poche attrici americane che non ha paura di mettersi in discussione. Allo stesso modo, Michelle viene dal cinema di Hong Kong e ci ha raccontato che spesso si presentava sul set la mattina e scopriva cosa fare. Le dicevano «Mettiti i fili, questo è il combattimento di oggi». E lei lo faceva. Sì, siamo stati molto fortunati. Credo che il fatto che si piacessero così tanto abbia reso il film molto migliore.

Come avete scelto Ke Huy Quan e James Hong?

D.K. Non è stata una scelta intenzionale. Dovevamo solo trovare gli attori giusti per il ruolo. Fino a poco tempo fa non c’erano molti attori di origine est-asiatica nel settore, perché non c’erano molti ruoli per loro. E così, per il personaggio del nonno, James Hong era uno dei pochi a cui potessimo pensare per età e talento. È stato il primo a cui abbiamo fatto l’audizione e anche l’unico, perché era perfetto. L’unica riserva che avevamo era che fosse più vecchio del previsto, aveva 92 anni, ma si è presentato al provino cantando e ballando, quindi… D.S. E con Ke la stessa cosa, volevamo qualcuno che conoscesse il kung fu, parlasse diversi dialetti cinesi e l’inglese, ma che fosse una persona molto carina e gentile. Era difficile trovare qualcuno che rispondesse a tutti e tre i requisiti. Poi un giorno ero su internet, ho visto una sua foto da piccolo in Indiana Jones, e ho pensato: «Oh, che fine ha fatto quel ragazzo?». Ho fatto i conti, ho pensato avesse l’età giusta e abbiamo iniziato a cercarlo.

D.K. Non faceva un’audizione negli Stati Uniti da qualche decennio ed è stato fantastico e si è rivelato perfetto. Sono state due coincidenze, ma hanno dato qualcosa di più al film.