Federico Buffa, non solo sport: «Vi racconto il ’68 in tv»

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«Robert Altman è l’uomo che mi ha fatto innamorare del cinema da un punto di vista “razionale”. Un film come Nashville è un racconto-affresco sull’America, che riesce a tenere insieme undici storie, senza mai perderne una sola… Ancora oggi, quando sento Keith Carradine cantare I’m Easy mi commuovo, perché mi ricorda cosa significò quel film per me, da ragazzo. Russ Meyer invece è il regista che mi ha fatto innamorare di un cinema più “di pancia” e, con Faster, Pussycat! Kill! Kill!, mi ha fatto scoprire le pulsioni erotiche per un certo tipo di femmina, incarnato dal corpo tutto curve di Tura Satana. Aneddoto per i “satanisti”, intesi come fan dell’attrice: faceva una breve comparsata come cameriera in L’appartamento di Billy Wilder…».

Federico Buffa è uno dei più grandi storyteller (non solo) di sport contemporanei. Volto e voce di SkySport, al momento è in teatro con il magnifico A Night in Kinshasa (sull’incontro Ali-Foreman) e con il nuovo spettacolo Il rigore che non c’era, racconto che prende spunto da un rigore “inesistente” concesso alla squadra argentina del Deportivo Belgrano nel 1958, per arrivare fino al mito di George Best.

Su Sky potete vedere la serie (in cinque episodi) #SkyBuffaRacconta 1968, epopea di sport, impegno politico, gioventù ribelle e rock ‘n’ roll, presentata nella sua integrità all’Ischia Film Festival. Proprio al Festival di Boris Sollazzo e Michelangelo Messina abbiamo incontrato Buffa per questa intervista esclusiva.

Chiacchierare con lui è un piacere, per capacità evocativa, citazione (cinefila, musicale o letteraria), come assistere a un suo pezzo teatrale o sentirlo parlare in tv di Ali, Michael Jordan, Andre Agassi o LeBron James.

La sua serie sul 1968 ha un ritmo cinematografico…

Merito di un gruppo che ha già realizzato una ventina di lavori insieme. Ogni componente della “squadra” conosce le proprie peculiarità e quelle degli altri. Io consegno un grezzo più lungo che poi viene tagliato e rimontato.

Mi racconta qualche scena tagliata, i migliori outtake della serie?

Nell’episodio di Parigi c’era una parte in cui viaggiavo fino in Cina e raccontavo cosa succedeva nel ‘68 cinese. Due aneddoti non sono nel montaggio finale. Il primo riguarda il leader cinese Xi Jinping (oggi Segretario generale del Partito Comunista cinese, nda), quindicenne nel ‘68. Nonostante avesse fatto la lunga marcia di Mao, fu mandato comunque in un campo di rieducazione. Con sé porta un baule su ruote. I contadini del luogo pensano che il bagaglio nasconda un tesoro. In realtà ci sono decine e decine di libri che Xi legge durante la notte, dopo aver lavorato tutto il giorno nei campi. Tra i testi ci sono Dante e Petrarca che Xi citerà poi puntualmente nei suoi discorsi. Un leader sorprendente, difficile trovare molti politici italiani che si dilettino altrettanto con la nostra letteratura…

L’altra storia cinese “tagliata”?

L’altra storia si svolge a Shanghai. La futura vedova di Mao Tse-tung ha una schiera di guardie rosse particolarmente aggressive al suo servizio. In particolare, fra queste, c’è una donna di un metro e novanta, almeno quaranta centimetri più della media. È la guardia più aggressiva di tutte, talmente dura che le altre segnano il suo nome tra le persone da punire per il “dopo Mao”. Infatti, quando finisce davvero l’epoca di Mao, a quella ragazza faranno pulire le latrine della città per circa due anni. Dopo quei due anni la donna tornerà a fare quello che faceva prima, giocare a basket! S’innamora di lei la star della pallacanestro maschile di Shanghai e nasce così Yao Ming (due metri e ventinove di altezza e primo atleta cinese a raggiungere la NBA, nda)!

In 1968 vediamo anche il “film della rivoluzione”: 2001 – Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick.

È il film che ridefinisce le categorie della storia del cinema. A Parma, a novembre e one night only, all’interno delle manifestazioni che il Comune dedica ai 50 anni del Sessantotto, terrò una serata su 2001, accompagnato da un’orchestra all’Auditorium Paganini. L’orchestra suonerà partiture del film, io invece faccio considerazioni di natura estetica e “futuristica”: quanti oggetti fantascientifici ci sono nel film che oggi esistono realmente? Kubrick aveva già immaginato perfino l’iPad! Tra gli outtake di 1968 c’è un altro aneddoto. Kubrick vuole vedere tutto quello che è stato fatto nel campo degli effetti speciali cinematografici nel mondo. Si imbatte così in un gioiello di Antonio Margheriti (Anthony Dawson), re della fantascienza di Cinecittà. Vede un film-fiaba in cui Dawson con un budget ridicolo riesce a far volare i protagonisti su tappeti volanti (nel film L’arciere delle mille e una notte, 1962, nda). Kubrick vede il film e si dice: «Come ottiene degli effetti così con due lire?!». Chiama allora Margheriti da Londra: «Maestro, la vorremmo come coadiutore agli effetti speciali!». Margheriti risponde: «quanto tempo durerebbe questo impegno?». Kubrick: «…direi un anno!». Anthony Dawson: «mi spiace, ma io in un anno faccio 5 film! Non mi posso permettere di assentarmi per un anno!»…

2001: Odissea nello spazio

Il repertorio musicale della serie sul 1968 va dai Beatles a Jimi Hendrix. Non è complicato ottenere i diritti per quei colossi?

Questo fa parte dell’accordo che Sky ha con la SIAE. Ha un accordo “maxi”, che consente di accedere ai diritti anche degli “inarrivabili”. Non sono un tecnico sull’argomento e immagino ci siano delle eccezioni. Io suggerisco qualche input, cioè dò una citazione cinematografica o musicale e poi, se si può, si inserisce materialmente.

Quest’anno il grande coach di basket Phil Jackson è venuto alla Festa del Cinema di Roma e ha raccontato che alle sue squadre mostrava montaggi di grandi film. In particolare, nei periodi di crisi dei team, faceva vedere l’iniezione di adrenalina a Uma Thurman in Pulp Fiction

Usare i film per caricare i giocatori fu praticamente un’invenzione di Phil Jackson! Il suo montatore di fiducia sceglieva insieme a lui le sequenze da mostrare. Proiettavano scene di gioco e poi, all’improvviso, entravano frammenti di film! Mentre viene proiettato l’attacco a una squadra o uno schema su come scardinare una difesa… PUM… entra all’improvviso una sequenza cinematografica, puro straniamento destabilizzante!

Perché secondo lei molti uomini di sport hanno tanta passione per il cinema?

Perché il cinema in inglese è motion picture. Tutto quello che è motion, movimento, attrae gli uomini di sport che “devono muoversi”! L’idea del movimento cinematografico è dunque di enorme presa sugli sportivi. Quello che non si può spiegare a parole può essere mostrato attraverso un pezzo di film.

Nel suo libro Black Jesus definisce il film Hoosiers – Colpo vincente di David Anspaugh il «Blade Runner del basket» e del cinema sportivo…

Una scena in particolare lo rende immortale. Quella in cui Gene Hackman fa capire ai ragazzi della sua squadra liceale di provincia che il canestro è alto 3 metri e 5 centimetri, anche quando giocano nella gigantesca arena di Indianapolis (la Hinkle Fieldhouse). È l’unico modo per far pensare ai ragazzi che si sta per giocare “semplicemente” una partita di basket… L’arena in cui giocano, quasi un tempio pagano, è rimasto pressoché invariato nel tempo. Non vogliono perdere quel rumore di cera sul parquet, quando si gioca. Prima ancora dell’odore c’è il rumore, quel “Gneek Gneek” di attrito delle scarpe sul legno.

Quali sono per lei gli altri migliori film sportivi?

Credo che il pugilato sia il “più fotogenico” di tutti. Penso che, quando Scorsese per la prima volta mette la macchina da presa di fianco a De Niro in Toro scatenato, cambia la percezione della storia dello sport attraverso il cinema, facendo quel gesto di entrare sul ring, cosa che nessuno aveva realizzato prima di lui. “Penetra” l’azione sportiva in maniera diversa. Forse è il film di sport più rivoluzionario mai fatto.

Luca Barnabé