Salvatores all’Ischia Film Festival: «Mi piacerebbe fare un film su Keith Richards»

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L’Ischia Film Festival 2018 è cominciato ieri sera, appena il sole è tramontato, si sono accesi i proiettori delle sale a cielo aperto sparse all’interno dello splendido Castello Aragonese. L’incontro clou è stato il premio alla carriera (in divenire) e il dialogo tra Gabriele Salvatores e il co-direttore Boris Sollazzo, in cui il regista di Mediterraneo ha ripercorso la propria carriera, i premi, le amicizie, i viaggi cinematografici e gli amori, prima della doppia proiezione “double bill” di Ragazzo Invisibile e R.I. Seconda Generazione (recente Nastro d’Argento).

«Ero figlio di un avvocato e nel ’69 – credetemi, pare incredibile – ero un capellone! Mio padre avrebbe voluto diventassi avvocato come lui e, quantomeno, mi tagliassi i capelli… Desideravo diventare un musicista rock, ho suonato per parecchio tempo la chitarra con una band, poi sono arrivati il teatro e il cinema. Girerei volentieri un film su una rockstar… Mi piacerebbe prendere le prime settanta pagine di Life, la biografia di Keith Richards, e far finire il film quando incontra un altro ragazzino a cui piace fare musica, Mick Jagger!».

Stamattina abbiamo avuto occasione di parlargli di persona all’incontro stampa. Ecco il nostro dialogo con Gabriele.

Ieri sera sono stati proiettati insieme Ragazzo invisibile e il suo recente sequel. Due film su cui ha passato quasi sei anni di lavoro e di vita…

È la prima volta che vengono proiettati insieme, uno dopo l’altro… L’idea del progetto Ragazzo invisibile è di Nicola Giuliano, produttore della Indigo e di tanti film di Paolo Sorrentino. Aveva dei figli allora giovani e si è accorto che in Italia manca una produzione di film rivolta a quelli che gli americani chiamano young adult, giovani adulti, ovvero film che possano piacere ai ragazzi ma anche ai loro padri. Quello spazio lo abbiamo lasciato un po’ in mano agli americani, soprattutto al cinema USA degli anni Ottanta, I Goonies, Spielberg, Zemeckis… In questo erano maestri, ancora adesso io, che ho superato i sessant’anni, se vedo E.T. mi commuovo. C’è la capacità di raccontare storie che possono unire generazioni diverse e noi registi italiani spesso abbia trascurato queste potenzialità. Ci siamo detti perché non  prendere un mito contemporaneo come quello dei supereroi e ambientarlo da noi? Perché non un ragazzino italiano invece che newyorkese? Questo ha funzionato bene, abbiamo lavorato molto con gli studenti, con i ragazzi, con l’Agis Scuola, abbiamo fatto concorsi, contest, sia per le musiche che per le sceneggiature, coinvolgendo davvero tanti ragazzi. Una delle ragioni che ci hanno spinto a trascorrere quasi 6 anni al progetto di questi due film è stata l’idea di poter ricreare affezione tra il pubblico italiano e il nostro cinema, proprio partendo dagli adolescenti! La risposta dei giovani è stata davvero sorprendente, negli ultimi mesi ho ricevuto una quantità incredibile di mail e messaggi da ragazzini che scrivevano anche soggetti o intere sceneggiature per un terzo capitolo!

Ci sarà mai un terzo capitolo?

Non lo so, dietro questa storia ho passato più di un lustro, alla mia età non è poco. Mi ha insegnato tanto questo set, ho imparato cose sugli effetti speciali che non conoscevo.

Prima di girare Ragazzo invisibile aveva rivisto vecchi o recenti classici su “uomini invisibili”? Rivedendo il film, ieri sera, alcune cose mi hanno fatto pensare soprattutto alla versione di John Carpenter, per l’impasto di humour ed effetti speciali…

Quello è uno dei tanti “Uomini invisibili” cinematografici che mi sono rivisto prima di girare il capitolo uno. Però nel nostro caso l’invisibilità, riguardando un ragazzino timido, è un superpotere che rivela un atteggiamento dell’anima. Tutti ci siamo sentiti invisibili a qualche festa con le ragazzine che non ti filano. Oppure tutti abbiamo desiderato essere invisibili per scappare da qualche situazione sgradevole… in realtà con l’invisibilità non ci puoi fare quasi niente! È il meno superpotere dei superpoteri!

Ieri sera ha raccontato di “aver fatto pace” con l’Oscar e di averlo rispolverato. Prima dove lo teneva, in cantina?

È stato a lungo in un armadio dell’ufficio della casa di produzione della Colorado! Adesso lo sento meno ingombrante e l’ho potuto mettere in casa mia. Sta su una libreria, regge dei libri, però “regge” Fellini, Antonioni…

Come sarà il prossimo Milano Film Festival, di cui è diventato direttore?

Questo gruppo fantastico di ragazzi che porta avanti il festival da sedici anni mi ha chiesto di fare il direttore artistico insieme ad Alessandro Beretta. Grazie a questo, inutile negarlo, in quanto riconosciuto come nome, posso fare un po’ da front man per ottenere determinate cose… Qualsiasi cosa riguardi il cinema riesca a coinvolgere il pubblico nella conoscenza del pubblico è benvenuta! Non sarà un festival di cinema, ma soprattutto un festival “sul” cinema! Quest’anno è il trampolino di lancio, purtroppo non potrò neanche essere alla conferenza stampa del festival, perché sarò in Croazia sul set del mio nuovo film (girato tra Slovenia, Croazia e Italia, con Valeria Golino, Claudio Santamaria, Diego Abatantuono e un esordiente diciottenne, nda). Posso dirti che verrà Raiz a presentare Ammore e Malavita, ma soprattutto terrà poi un concerto al Piccolo Teatro Studio. Claudio Santamaria non credo potrà venire via dal mio set, non so ancora, ma mi piacerebbe portarlo, più che a parlare di un film, per fargli fare un concerto, lui è un musicista! Un’idea futura è quella di chiedere a registi molto conosciuti e importanti che hanno l’hobby della pittura o della fotografia di regalarci un’opera, un quadro, una foto e chiedere a giovani registi  della Scuola di Cinema di Milano di partire da quel frame e immaginarsi cosa c’è prima e cosa dopo in un corto. Voglio coinvolgere la Camera della Moda, la Fondazione Prada, il Silos Armani… Coinvolgere persone che a Milano, città molto particolare, sfiorano o hanno qualcosa a che fare con il cinema. Non un festival solo cinéphile e per addetti ai lavori, ma un festival più “pop”, più Woodstock che Berlino, anche se Berlino è un festival che adoro!

Luca Barnabé