A 75 anni suonati Agnieszka Holland è diventata una regista scomoda. Troppo scomoda. Tanto che la Polonia ha deciso di non candidare ai prossimi Oscar il suo ultimo film, Premio Speciale della Giuria a Venezia, Green Border, ambientato nella foresta al confine tra Bielorussia e Polonia, dove ogni giorno decine e decine di migranti subiscono violenze e abusi ingiustificati. Il film è al cinema dalll’8 febbraio con Movies Inspired.
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Diritti umani calpestati e pericolo del totalitarismo
Agnieszka Holland, che già trent’anni fa con Europa Europa denunciava le contraddizioni del Vecchio Continente, torna a parlare di diritti umani calpestati in un film che ruota intorno a una famiglia di rifugiati siriani, un solitario insegnante afgano di inglese, una giovane guardia di frontiera e un gruppo di volontari che rischiano la propria pelle per soccorrere i profughi.
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“Il pericolo del totalitarismo – dice la Holland, che tra gli altri si è affidata a Maja Ostaszewska, attrice e attivista nella foresta a Granitza, “coscienza” del film e consulente, e a Jalal Altawil e Mohamad Al Rashi, entrambi arrivati in Europa dalla Siria, proprio come i personaggi che interpretano – è stato solo messo a dormire, dimenticato dall’agenda europea, ma non è certo sparito. Gli anticorpi acquisiti a causa dell’Olocausto non sono serviti e il futuro sperimenterà quello che è già accaduto in passato. La crisi umanitaria dei migranti cominciata nel 2014 rappresenta la grande sfida alla politica e alle forze militari e darà forma al futuro dell’Europa. Per raccontare la nostra storia abbiamo scelto un approccio epico e punti di vista diversi, che appartengono anche a coloro che solitamente non hanno voce, come le persone che abitano in quei luoghi”.
“La natura umana – continua Holland – è complessa e include il meglio e il peggio. La guerra tra bene e male è radicata nell’essere umano: c’è chi si nutre del piacere della violenza nei conflitti e c’è chi alimenta la giustizia anche contro i propri interessi. Ho parlato segretamente con alcune guardie al confine: la battaglia che hanno dentro era nei loro occhi e con il film ho cercato di arrivare al cuore della realtà. Per non perdere la propria forza morale il cinema deve allora guadagnare sempre più spazio affrontando argomenti cruciali per l’umanità”.
La crisi umanitaria
Quando parla, la Holland è un fiume in piena: “Viviamo in un mondo polarizzato e lo sono anche i media, corrotti dal mercato, codardi e pigri. Hanno lasciato che il potere prendesse decisioni calpestando la nostra libertà. Alcuni media polacchi hanno rischiato grosso pur di raccontare ciò che accadeva al confine, poi il governo ha deciso di chiudere la zona intorno alla frontiera bloccando giornalisti e organizzazioni umanitarie. Quella zona è diventata allora un incubo che non è stato più concesso documentare, ma possiamo sempre ricorrere alla finzione per continuare a parlarne. Credo che l’Europa stia rinunciando ai propri principi per la paura che un cambiamento possa turbare la nostra cosiddetta ‘confort zone’, dove tutti ci sentiamo al sicuro. I politici populisti sfruttano questa paura, i dittatori come Putin hanno capito i punti deboli della coscienza europea e li utilizzano a proprio vantaggio. Temo allora che l’Unione Europea, figlia di un risveglio di coscienza avvenuto dopo la guerra, non voglia affrontare la crisi dei migranti perché consapevole che il problema continuerà a crescere e che i mezzi sono inefficaci. Muri e respingimenti, così come il denaro elargito ai dittatori africani e asiatici per i campi profughi sono solo un palliativo su una ferita aperta. La catastrofe climatica non potrà che peggiorare la situazione e continuando così il ‘continente della libertà’ sparirà lasciando il posto a una fortezza dove la gente che cercherà di entrarvi verrà di uccisa proprio da noi”.