Lo spietato, Riccardo Scamarcio: «L’Italia deve investire nel cinema. Faccio politica ogni volta che interpreto un film»

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Lo spietato

Lo spietato è un tragicomico viaggio attraverso oltre due decenni di malavita italiana, dalla Milano di periferia popolata da immigrati meridionali a quella scintillante all’ombra della Madonnina, dai grigi anni Settanta del terrorismo ai caleidoscopici anni Ottanta del boom economico e delle grandi promesse. Due mondi osservati attraverso gli occhi di Santo Russo, gangster calabrese trapiantato a Buccinasco, che sogna il riscatto dalla propria emarginazione sociale coniugando rapine, esecuzioni a sangue freddo, sequestri, droga, riciclaggio di denaro sporco a ricchezza, eleganza, appartamenti di lusso, amanti raffinate, moda, avanguardie artistiche e disco music.

A interpretare il criminale (Saverio Morabito nella realtà) raccontato dal libro-inchiesta Manager calibro 9 di Luca Fazzo e Piero Colaprico e portato sullo schermo da Renato De Maria nella gangster comedy Lo spietato, il film Netflix prodotto da Bibi Film con Rai Cinema al cinema con Nexo dall’8 al 10 aprile e in streaming dal 19 aprile, c’è Riccardo Scamarcio, con un’ottima performance che gli ha permesso d’impastare ferocia e violenza a toni decisamente più brillanti e scanzonati, mentre l’accento milanese ha addirittura trasformato la sua voce.

«De Maria aveva inizialmente scelto un altro attore, io sono stato una specie di ripiego, l’ho implorato di affidarmi questo ruolo perché sono un suo grande fan», dice Scamarcio tra il serio e il faceto quando gli chiediamo se sia scoccato un colpo di fulmine tra lui e il regista, che al fianco dell’attore ha voluto tra gli altri, Sara Serraiocco nei panni della moglie Mariangela, Marie-Ange Casta (sorella di Laetitia) in quelli dell’amante francese Annabelle, Alessio Praticò e Alessandro Tedeschi. La verità, probabilmente, è quella che leggerete nell’intervista a De Maria. «Il film – racconta ancora l’attore, attualmente impegnato sul set del nuovo film di Nanni Moretti, Tre piani, e sugli schermi dal 30 aprile con Non sono un assassino di Andrea Zaccariello, dove interpreta un vicequestore accusato di omicidio – si iscrive in un genere preciso che vede protagonisti criminali la cui parabola esistenziale non è lontana da una certa moralità.
Santo Russo vive un momento di grande ascesa, vuole emanciparsi da una condizione di disagio sociale ed economico e per questo è disposto a commettere dei crimini. Ma stare fuori dalla legalità ha un prezzo, e da questa lezione di vita comincia la sua discesa».

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Essere ricco e temuto non gli basta, Russo si considera un manager artista, un mecenate sensibile alle arti. «Lui vuole essere come i ricchi di Milano, ha cancellato anche il suo accento calabrese, ma non appartiene a quel mondo e non ha mai veramente capito cosa facciano gli artisti contemporanei che accoglie in casa sua, di cosa parlino e cosa vendano. È un personaggio che mi ricorda la mia infanzia, l’Italia del boom economico e capitalistico, quando la malavita ha cominciato a investire in borsa e il confine tra criminali e speculatori finanziari diventava sempre più labile. Io gli anni Ottanta li ho vissuti in Puglia nel decennio successivo, perché lì siamo sempre un po’ in ritardo. Ricordo certe macchine, situazioni, personaggi: non come Santo Russo, peggio!». Nonostante siano spietati assassini, i personaggi come Russo godono ancora di grande fascino. «La ragione sta nel fatto che vivono un dramma emotivo ed esistenziale.  Attraverso di loro si parla di famiglia, amicizia, tradimento, della vita insomma. Il racconto segue meccanismi archetipici molto classici e il pubblico si identifica facilmente».

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Il fatto che il film arrivi nelle sale solo per tre giorni non sembra turbare affatto l’attore. «Il cinema italiano nelle sale stacca solo il 18% dei biglietti, un dato agghiacciante, e Netflix rappresenta una grande opportunità. La competizione è stimolante e il bisogno di contenuti aumenta la domanda e la possibilità di fare cose interessanti. Certo, vedere un film al cinema è un’altra cosa, le sale andrebbero protette, ma non si può neanche far finta che il mondo non sia cambiato. Ci sarà bisogno di regole, ovviamente, perché libero mercato non vuole dire deregulation, e di sperare nel meglio anche se, come disse qualcuno, “il tuo ottimismo è più tragico del mio pessimismo”. Spero vivamente che il governo italiano difenda maestranze, competenze e tutte le persone che nel cinema lavorano molto bene. Se questo non accadrà, persone come me che hanno studiato e imparato un mestiere in una scuola statale, il Centro Sperimentale, saranno costrette a cercare lavoro in un altro Paese. Ci vogliono dunque un piano industriale e investimenti seri nel cinema, fondamentale in Italia come l’artigianato, il turismo, il cibo. Abbiamo avuto tanti Ministri degli Esteri, ma i grandi ambasciatori della cultura italiana nel mondo sono artisti come Fellini, Mastroianni e la Loren». È così appassionato Scamarcio quando affronta questi temi che viene naturale chiedergli se ha mai pensato di entrare in politica. «Non ci penso minimamente, io faccio politica ogni volta che interpreto un film, quando metto in scena comportamenti, sentimenti, fragilità, emozioni».