Ready Player One, Spielberg: «Tutto il mio amore per i videogames»

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Steven Spielberg
Steven Spielberg Ready Player One

«The king is back», il re è tornato, gongolano i siti online dedicati al cinema fantastico. Arriva Ready Player One di Steven Spielberg, il trentunesimo film (più un episodio) nei 47 anni della sua straordinaria carriera. Ed era da La guerra dei mondi, 2005, che non si dedicava più alla sua amata fantascienza. Sarebbe del tutto inutile sottolineare che sono passati appena due mesi dall’uscita di The Post, candidato all’Oscar per il miglior film. Perché, come in due universi paralleli, esistono due Spielberg, quello dell’impegno e quello dell’avventura e della fantasia. E ognuno ha i suoi fan, spesso non sovrapponibili.

Anche se sono usciti praticamente in contemporanea, The Post tratta della libertà di stampa in pericolo, e quindi di un problema reale, e Ready Player One di videogame e realtà virtuale. È tratto dal bestseller omonimo di Ernest Cline, detto Ernie, 46 anni a fine marzo, superfan di Internet e cultura pop, ex commesso, come Quentin Tarantino, di una videoteca.

Steven Spielberg
Steven Spielberg (foto di Pietro Coccia)

La trama: Ready Player One è una storia ambientata nell’anno 2045 su una Terra fiaccata da crisi energetica, mutamenti climatici, carestie, povertà, epidemie e continue guerre. L’unica consolazione è evadere nell’OASIS (acronimo di Ontologically Anthropocentric Sensory Immersive Simulation) creato da James Halliday. Quando lui muore senza lasciare eredi, scatta una caccia al tesoro postuma: chi troverà tutti gli Easter Egg, ossia “le sorprese” nascoste dall’eccentrico miliardario nel videogame Il gioco di Anorak, potrà avere OASIS e l’intero patrimonio di 500 miliardi di dollari. Come dire “Willy Wonka incontra Matrix”.

Spielberg, cosa l’ha intrigata della storia?

Finito il romanzo, ho pensato che la realtà alternativa, in cui puoi creare perfino un tuo Avatar, non è lontana dalla realtà virtuale che si sperimenta oggi. Come a tutti, anche a me è capitato di levarmi cuffie e visori e scoprirmi a un tavolo, col pensiero che ero più a mio agio nell’altro mondo e non vedevo l’ora di tornarci.

Halliday ama gli anni Ottanta perché gli ricordano la sua giovinezza. Quindi Ready Player One, come il romanzo, è una lettera d’amore ai temi di quel periodo. Potrebbe favorirne il ritorno?

No, magari altri omaggi. Nostalgia non casuale, per un’epoca con poco crimine, niente crisi, molto edonismo. È stato come un time out, cioè un intervallo fra il maelstrom in attesa dietro l’angolo, e quello che c’era stato appena nei Sessanta. Una decade cuscinetto, scelta nella distopia del 2045, perché in pace con se stessa.

Ready Player One
Ready Player One

Con Jurassic Park lei aveva rivoluzionato la tecnica Cgi, e con Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno aveva sperimentato la motion capture. La realtà virtuale cosa le ha permesso di fare di inedito?

Non avevo mai realizzato un film così “fotorealistico”. Ho potuto piazzare la macchina da presa in angoli prima impossibili. Ma resto un regista all’antica, perché non privilegerò mai super effetti fini a se stessi: il loro compito sarà sempre di essere al servizio della storia.

Che altro fa di “antico”?

Sono ancora molto analogico nella comunicazione, scrivo lettere, gli unici dispositivi che uso sono sms ed e-mail, non ho Facebook, Twitter, Instagram.

Ha nostalgia dello Spielberg degli anni Ottanta?

Di quel periodo mi manca la musica, Prince e i Duran Duran, e qualche designer. Ho tagliato dal film quasi tutti i riferimenti al mio lavoro di cui gentilmente Cline aveva riempito il romanzo. È rimasto il minimo, una DeLorean, un Tyrannosaurus Rex… Ce ne sono invece di altri film-maker. La cosa più lunga e complessa è stata negoziare i diritti d’immagine degli Easter Egg. Ho avuto l’80% di quello che volevo, ma purtroppo non c’è la Disney e, quindi, niente Star Wars.

Il GGG – Il grande gigante gentile, poi Il ponte delle spie, poi The Post, e infine Ready Player One. Si sente mai un po’ schizofrenico?

Meno di quello che la gente pensa. Giuro che sono la stessa persona. Mi piace sia essere serio che divertirmi, come capita nella vita di tutti noi. Ti fai due risate con gli amici, e subito dopo magari devi affrontare una delicata discussione coi tuoi figli. Mentre giravo Schindler’s List, il film più importante della mia vita, ero costretto a ritagliarmi ogni giorno dodici minuti per collegarmi via satellite dalla Polonia a Los Angeles e scegliere i dinosauri di Jurassic Park.

In The Post c’era la grande ombra di Donald Trump. C’è per caso anche in Ready Player One quando capitalisti e grandi corporazioni stile Grande Fratello cercano di impadronirsi dell’OASIS?

No, The Post ambientato nel 1971 era uno specchio del 2017, ma Ready Player One parla solo di passato e futuro. Niente Trump, una volta tanto. Il monito che lo rende anche un racconto morale è semmai sul pericolo di passare troppo tempo isolati, lontano dai nostri cari, familiari e amici, e dai nostri impegni e responsabilità.

Quindi non avrebbe voluto avere un’OASIS nella sua infanzia?

C’è l’ho avuta, era il mondo dei miei primi corti in 8 millimetri, fantascienza, western, guerra.

Marco Giovannini