The Girl from Plainville, Patrick Macmanus dai riferimenti a Glee al lavoro di Elle Fanning

Abbiamo intervistato il co-creatore della serie, dal 10 luglio su Starzplay

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The Girl From Plainville -Elle Fanning (Photo by: Steve Dietl/Hulu)

Le parole possono uccidere? È la questione sollevata nel 2017 dal caso senza precedenti che ha coinvolto, in una piccola città del Massachusetts, l’adolescente Michelle Carter, condannata per omicidio colposo a 2 anni e mezzo di carcere (ridotti in seguito a 15 mesi per buona condotta) per aver istigato al suicidio, attraverso messaggi di testo, il suo ragazzo Conrad Roy.

L’eclatante caso Commonwealth v. Michelle Carter, colloquialmente conosciuto in patria come «texting suicide case», ha suscitato un forte interesse mediatico, affrontato per la prima volta nell’articolo pubblicato su Esquire dal giornalista Jesse Barron e tornato al centro dell’attenzione con la miniserie The Girl from Plainville, disponibile su Starzplay dal 10 luglio.

Impostata sul genere del true crime con tanto di flashback e indagini da ricostruire, la serie creata da Liz Hannah e Patrick Macmanus indaga sugli eventi e sui comportamenti di Michelle Carter (Elle Fanning) che hanno portato Conrad “Coco” Roy (Colton Ryan) a togliersi la vita. Otto episodi ben scritti, centrati, che calcano molto l’attenzione sul quadro psicologico dei due ragazzi, sui loro contesti familiari e ovviamente sulla torbida relazione virtuale che i due hanno portato avanti per oltre un anno, praticamente in segreto, attraverso chat e telefonate.

The Girl From Plainville, Elle Fanning e Colton Ryan (Photo by: Steve Dietl/Hulu)

Abbiamo avuto modo di parlare in maniera più approfondita con uno dei creatori, Patrick Macmanus, il quale ci ha fornito la giusta chiave di lettura della serie, raccontandocene lo sviluppo e soprattutto l’intento nel non voler sensazionalizzare in alcun modo una storia che parla di gravi problematiche mentali.

Come avete lavorato con il materiale originale e come avete unito finzione e realtà? 

Lo storytelling è iniziato e finito con il materiale originale. Quando siamo venuti a conoscenza della storia di Michelle, sapevo poco: le informazioni trapelate dai notiziari erano piuttosto ridotte. C’erano titoloni a destra e a manca, fu un fatto sensazionale. Solo quando ci è stata data l’opportunità di leggere i messaggi che si erano inviati Michelle e Conrad abbiamo capito che la storia si poteva analizzare tridimensionalmente. Dovevamo trattarli come persone umane, focalizzandoci sulle loro problematiche mentali. È cominciata così, con la lettura di centinaia e centinaia di messaggi e l’ascolto di tutte le testimonianze del processo. Non volevamo calcare il dramma, tutto ciò che abbiamo aggiunto di finzione è stato ispirato dal materiale.

Nella serie sono fortemente presenti temi che pongono l’attenzione sulla salute mentale. Cosa pensa possano imparare gli spettatori, specialmente i teenagers, dalla storia di Michelle e Conrad? 

Fin dall’inizio, la cosa che ci premeva di più era trattare la storia con la dovuta sensibilità. Non è uno show di intrattenimento. È rivolto a persone che stanno affrontando problematiche mentali simili a quelle vissute dai protagonisti. Avevamo l’opportunità e una grandissima responsabilità, quella di far sì che queste persone potessero comprendere che c’è gente con la quale è possibile parlare, disposta ad aiutare, e che non sono soli, che ci sono tantissime altre persone che soffrono degli stessi problemi e che la salute mentale è importante quanto la salute fisica, che sia un raffreddore o un’influenza. Non bisogna avere vergogna o sentirsi stigmatizzati per avere disturbi mentali. Se siamo stati in grado di raggiungere anche solo una persona e farle capire che non è sola, allora siamo riusciti nel nostro lavoro. 

The Girl From Plainville – Colton Ryan (Photo by: Steve Dietl/Hulu)

Elle Fanning ha dimostrato ancora una volta di possedere grandissime  doti attoriali. Ci può raccontare come si è preparata per questo ruolo?

Quando l’ho conosciuta e ci ho parlato per la prima volta, si capiva subito che aveva le idee chiare su cosa volesse da questa serie. E il primo obiettivo, condiviso da tutti noi, era quello di non rendere sensazionale niente. In secondo luogo voleva impersonare Michelle nel modo più giusto possibile, non solo dal punto di vista fisico. Nonostante abbia lavorato molto con il reparto trucco e costumi, la cosa che le premeva di più era il lato emotivo, umano. Elle lo fa sembrare facile, ma non è stato così. Ci ha messo alla prova anche con la scrittura, alla quale ha partecipato attivamente, com’è giusto che sia. Abbiamo costruito questo mondo insieme dal Day 1. Elle è stata una partner eccezionale per far sì che tutto funzionasse bene. 

Elle Fanning nelle ultime scene del processo di Michelle Carter

Nella serie ci sono continui riferimenti a Glee, una serie che ha spesso parlato di problematiche giovanili. C’è un motivo preciso dietro questa forte presenza? 

Le rispondo così: se non l’avessimo fatto, non avremmo raccontato la vera storia. Michelle era ossessionata da Glee. Lo si capisce chiaramente dai messaggi, ma anche nei video con le sue amiche, nelle testimonianze che abbiamo ascoltato. Sapeva a memoria le battute di quello show, sembrava come se vivesse di continuo in quel mondo fantastico. Il suo rapporto con Conrad è stato molto influenzato dal rapporto che Lea Michele e Cory Monteith [i due attori protagonisti di Glee ndr] hanno avuto sia fuori sia dentro lo schermo. Dovevamo raccontare quella parte di storia perché faceva parte del suo essere.