Fenomeno Una festa esagerata, Salemme: «Nei film metto in scena anche le mie paure»

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In principio era una commedia teatrale di enorme successo, applaudita in tutta Italia. Poi Una festa esagerata di Vincenzo Salemme, la storia del povero Gennaro Parascandalo, costretto ad accontentare la famelica moglie che per il diciottesimo compleanno della figlia ha deciso di fare le cose in grande, senza badare a spese, è diventata un film distribuito da Medusa, il titolo italiano più visto nel weekend del 22 marzo.

Ci racconta tutto Vincenzo Salemme, tornato dietro la macchina da presa spinto su suggerimento dei tanti amici che, travolti dallo spettacolo, hanno colto una felice opportunità per il grande schermo. «Tra questi c’era anche Gianpaolo Letta (vicepresidente e amministratore delegato di Medusa, Ndr). La storia segue le regole di unità di tempo, luogo e azione, tutto avviene tra due piani di un condominio nell’ora e mezza che precede la famigerata festa. È teatro puro, ma Enrico Vanzina, che ha sceneggiato il film con me, ha dato alla storia una chiave cinematografica. Il finale sarà diverso, un vero e proprio colpaccio di scena, vedrete».

A Salemme è sempre piaciuto raccontare miserie e nobiltà dell’uomo. «Parlo delle mie paure, ed essendo una persona “comune” le mie emozioni appartengono anche ad altri. La commedia è efficace perché ridendo la gente accetta messaggi più amari. Dicono che bisognerebbe parlare di  attualità, ma quello che conta davvero per me sono i sentimenti universali contenuti nelle storie».

Una festa esagerata

Il condominio di Una festa esagerata diventa un microcosmo che raccoglie una piccola borghesia ipocrita, che bada solo alle apparenze. «Ne fanno parte persone per bene, silenziose, un po’ vigliacche, che costituiscono però la struttura di una società. Oggi anche in questa cosiddetta “maggioranza silenziosa” serpeggiano sentimenti di paura e odio tra simili. Guardate i partiti: non fanno politica, ma si odiano, e questo ha allontanato i giovani, affascinati dalla cattiveria, dalla mostruosità, ma non dall’odio. C’è molta cattiveria ed egoismo nei personaggi del film, un cinismo nascosto dietro i luoghi comuni. Ogni cosa ha una regoletta mediocre che gestisce i rapporti umani, mentre Gennaro vorrebbe solo guardare dal terrazzo la sua città come fosse il presepe di Eduardo in Natale in casa Cupiello. Un presepe oggi pieno di contraddizioni, da depredare più che contemplare».

Vincenzo Salemme scherza col numero di Ciak di marzo

Eduardo è stato il suo grande maestro, ma non c’è solo lui nei suoi film. «Amo l’uomo che ha raccontato, un piccolo individuo cecoviano che resta innocente. Eduardo però è come Hemingway, io sono figlio di un mondo diverso, dal passo breve, parlo di piccole schegge impazzite, di scatti umorali ed emotivi. Ma amo anche Peppino, Totò, Troisi, De André, Iannacci». In Una festa esagerata vediamo attori diversi. «Altri volti e corpi, altre voci e velocità, hanno trasformato il racconto cinematografico. Avevo già lavorato con Tosca D’Aquino, una sorta di sorella minore, che rappresenta bene le donne di quella fascia sociale. È una Madame Bovary del quartiere napoletano, insopportabile, glaciale. Massimiliano Gallo non solo è bellissimo, ma possiede uno strano contrasto tra durezza e dolcezza che lo rende molto efficace. E Iaia Forte è un incanto, una valanga, colta e coraggiosa, un vero animale di scena. La vedrei bene in un film di Brian De Palma e Dario Argento».

Con i suoi spettacoli Salemme cerca di riportare i giovani a teatro. «Cento anni fa il teatro non aveva tutti i competitor di oggi, ma il mondo è andato avanti. Mi dispiace solo assistere al declino dell’animo umano, che dipende dall’aver trasformato la tecnologia in un punto d’arrivo e non in un trampolino di lancio per superare i nostri limiti, per esplorare concetti più profondi. Mi piacerebbe far capire ai ragazzi che tutte le arti derivano dal teatro, che anche fare l’amore e la nascita dell’universo lo sono».

E i ragazzi avrebbero bisogno di artisti che trasferiscano loro la propria esperienza. «Cerco da una vita un teatro mio per produrre spettacoli insieme ai più giovani. Un laboratorio dove io possa imparare da un ragazzo di quindici anni e lui da me, dove trovare attori non bravi, ma veri e coraggiosi, generosi, capaci di condividere con il pubblico le proprie emozioni».