PEPA SAN MARTIN: «”RARA” È UN FILM CHE PARLA D’AMORE »

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RaraI temi dell’identità e dell’opposizione sociale riservata alle coppie omosessuali all’interno di un racconto asciutto, che immerge lo spettatore nella quotidianità dei protagonisti sono al centro di Rara, film diretto dalla cilena Pepa San Martin, presentato al Giffoni Film Festival e già in concorso alla 66esima edizione del Festival di Berlino, dove ha ricevuto il premio
Miglior Film nella sezione Generation Kplus International Jury. Rara, che ha appena ottenuto anche un premio al Festival di San Sebastian e che in Italia verrà distribuito da Nomad Film a settembre, è la storia vera di Sara, che vive con sua madre, sua sorella e la moglie di sua madre. La sua vita è felice e la sua quotidianità spensierata, ma quando l’adolescenza si affaccia nella sua esistenza, l’impatto con le vite degli altri ragazzini e i primi confronti con l’altro sesso sollevano una serie di problemi. Le cose diventano ancora più complicate quando suo padre tenta di ottenere la custodia delle figlie.

A Giffoni abbiamo intervistato la regista. Ecco cosa ci ha raccontato Pepa San Marin!

Qual è l’origine di questa storia?
Si tratta di una battaglia legale avvenuta in Cile sei anni fa. Ero colpita dall’indifferenza della gente a questa notizia, ma ho cominciato a fare ricerche e ho scoperto che c’erano molti casi come questo. Inizialmente la sceneggiatura era scritta dal punto di vista della madre, poi ho scelto un approccio più trasversale. Sentimenti ed emozioni non conoscono genere, anche genitori eterosessuali possono sentirsi rappresentati da questa storia che parla d’amore, di genitori e figli.


Il film vuole raccontare la quotidianità di questa famiglia con genitori omosessuali piuttosto che rivendicare diritti e fare proclami.

Non è un film militante. Non voglio convincere nessuno, ma parlare a chi ha dei dubbi. Attualmente il diritto di avere figli per gli omosessuali non esiste in Cile. Abbiamo unioni civili, ma nessuna tutela per i figli che già esistono e sono parte della società, più veloce dei nostri politici.

Come ha lavorato con le due giovanissime attrici?
raraHo trascorso con loro un’estate passeggiando, andando in piscina, alle mostre, giocando. Nel film non c’è nulla di improvvisato. I miei produttori sono stati molto generosi nel concedermi il tempo e la tranquillità di giocare sul set, senza pressioni. Abbiamo utilizzato una casa vera con tutte le stanze, le bambine avevano ognuna la sua. Abbiamo filmato prima nella casa della madre e poi in quella del padre, dove ci sentivamo tutti degli estranei, come poi lo spettatore. Amo lavorare con i bambini perché non hanno pregiudizi. Ho adattato la sceneggiatura a Julia Lubbert, eliminando ad esempio contatti fisici con ragazzi, non era pronta per questo, e ho integrato nello script quello che le stava accadendo in quel momento. Rara è anche un film sulla costruzione di una personalità.

Come dobbiamo interpretare il finale aperto?
Sara si accorge che il conflitto che ha scatenato per la paura di essere diversa a causa della sua famiglia è diventato molto più grande di quello che immaginava. Da quel momento la sua prima preoccupazione diventa la sorellina.


La dittatura è ancora una ferita aperta in Cile.

RaraCerto, basti pensare che abbiamo ancora la costituzione di Pinochet. Abbiamo paura di essere diversi e la dittatura toglie le differenze, che rappresentano sempre un pericolo. Io sono nata e cresciuta durante la dittatura, a scuola eravamo vestiti tutti uguali, non c’erano cinema né musica, non si parlava. La mia generazione ha portato tutto il peso di questa situazione.

Quali sono i registi che le hanno fatto amare il cinema?
Molti, soprattutto Pedro Almodovar, che dimostra come l’umorismo possa essere un’arma molto seria. Poi Haneke, Truffaut. ora Larraine. Da giovane sono stata folgorata da La mosca di Cronenberg.

E il cinema ha la possibilità di cambiare società?
Senza dubbio perché ti offre la possibilità di vedere le cose da un altro punto di vista. Molti errori nella vita si commettono per ignoranza. Dico sempre che faccio la regista perché ho paura delle armi. E la macchina da presa è un’arma davvero poderosa.