Perché fai film? Rispondono i grandi registi. Parte 2

In questa seconda puntata la parola a Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Dario Argento e Oliver Stone

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Nel purtroppo (per me particolarmente) lontano maggio 1987, il quotidiano francese Liberation pubblicava un poderoso allegato intitolato “Pourquoi filmez vous?” (“Perché fai film?”) , in cui poneva la domanda – per qualcuno oziosa per altri fondamentale – a mille dei cineasti più importanti (allora) del pianeta. Abbiamo pescato alcune delle risposte e ve le riproponiamo (abbiamo scelto tra quelli ancora viventi, sigh). Perché i motivi dell’uno possono spalancare le finestre al senso di un’altra domanda più generale e collettiva: “perché guardare i film?”. Ecco la seconda puntata (qui la prima)

OLIVER STONE

  1. “Perché è il mio modo di esplorare il mondo che mi circonda.
  2. Perché è l’alleanza tecnica e artistica tra il visuale e il verbale.
  3. Un film è visto nel mondo intero, in tutte le lingue, da tutti i popoli, in tempi relativamente brevi; quindi, un film possiede una coscienza planetaria.
  4. Perché può essere una forza d’amore, di conoscenza, di educazione per tutto l’universo.
  5. Perché è la cosa che più amo su questa terra”.

OLIVIER ASSAYAS

“Senza dubbio è per poter rispondere a questa domanda che io faccio del cinema. In ogni caso la questione vive in me più forte di ogni risposta. I suoi termini cambiano, si riformulano continuamente, certe volte la questione mi stimola, mi regala forza, altre volte mi paralizza”.

LEOS CARAX

“Filmo per guardare l’amore in faccia”

DARIO ARGENTO

“Io sono al servizio della comunità e della società. Considero i miei film e quelli dei miei colleghi come un servizio di pubblica utilità. Serve a far sognare i cittadini dopo una giornata di lavoro e fatica…perché riflettano o far cambiare la loro mentalità”.

MARCO BELLOCCHIO

“Fare un film è una ricerca individuale e collettiva di immagini originali, che nessuno ha ancora scoperto e creato. Il regista deve essere un po’ come uno scienziato che ha come terreno privilegiato di ricerca l’inconscio. Fare cinema non è dunque descrivere il quotidiano, il banale, il ripetitivo della vita, neppure limitarsi a raccontare come “lei ci appare nei sogni” (…) Il cinema è un’arte che esige una identità personale estremamente vivace, sessuale, resistente, che permette di trasformare continuamente i sogni in realtà e la realtà in sogni”.

NANNI MORETTI

“Il piacere di essere uno spettatore è sempre stata una componente del mio lavoro. Prima, facevo del cinema perché detestavo i brutti film, ora faccio del cinema perché amo i bei film”.

ROMAN POLANSKI

“Me lo sto chiedendo”.

WIM WENDERS

“Tutte le risposte, tutte le ragioni sono valide e vere, ma io mi dico che, alla fine, deve esserci qualcosa di “più vero” ancora. Più che una “ragione” può essere un “obbligo” o anche una “necessità”, qualcosa di talmente semplice ed evidente che non ci penso più (…) La cinepresa è l’arma dello sguardo contro la miseria delle cose, farla scomparire. Perché usare quest’arma, perché fare film? Non c’è mica una domanda meno stupida?”.

KEN LOACH

“Fare un film è esporre del materiale sensibile alla luce. La zona di sensibilità che io trovo particolarmente interessante è la relazione tra la gente e il loro ambiente: la loro famiglia, il loro lavoro, la loro classe sociale. Gli elementi drammatici che mi attraggono sono: la forza di battersi per la propria difesa, la lotta per articolare quello che è spesso represso e il calore dell’amicizia, della compassione, della solidarietà”.

JEAN-LUC GODARD

“Io filmo per evitare la domanda sul “perché””.

Perché fai film? Rispondono i grandi registi. Parte 1