SÌSARA: UN THRILLER PSICOLOGICO CHE CREA DIPENDENZA

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DI STEFANO LUSARDI

sisaraSìsara (occhio all’accento) non è molto più di una comparsa, marginale e ai più sconosciuta, nelle Sacre Scritture. Generale nemico d’Israele, si ritrova in fuga e col suo esercito completamente distrutto, e finisce ammazzato da una donna, in maniera decisamente horror: lei prende un martello e gli perfora la tempia con un piolo. Nella serie diretta da Patrizio Trecca, anche autore della sceneggiatura con Debora Valentini, e prodotta dalla vitalissima Tauron Entertainment, Sìsara diventa un suono (alieno e misterioso), un’oscura allusione (alla storia biblica in particolare, alla religione in generale, all’idea della grande impresa che si trasforma in disfatta) e una serie di frammenti letterari che somigliano a tessere di un puzzle, in quanto ognuno degli episodi si apre con una citazione tratta dai Giudici, libro che racconta appunto la storia di Sìsara.

sisaraProprio nella scelta del titolo, nella sua musicalità arcana, sta la chiave del progetto. Trecca e Valentini puntano alto: non solo divertire o interessare lo spettatore, ma creare quella seduzione narrativa – un meccanismo magico che la Rai anni ’60 riusciva a generare coi suoi gialli, e che oggi riescono a replicare alcune grandi serie televisive americane – che crea dipendenza, l’attesa curiosa e spasmodica della prossima puntata. Nelle prime tre puntate di Sìsara (la strada è ancora lunga, alla fine saranno 15), Trecca e Valentini riescono decisamente ad incuriosire, ad obbligare lo spettatore ad annotare mentalmente ogni particolare, e poi a farlo interrogare sulla vera essenza dei personaggi o sui sottintesi dei dialoghi, aspettando di vedere quello che accadrà. Fino a questo punto, la serie ci ha presentato un potentissimo avvocato della Roma contemporanea (Andrea Gattinoni, già nel cast di Si può fare, bravo giovane attore che, scommettiamo, ci riserverà belle sorprese, sia in rete che in sala), che traffica col Vaticano ed è legato ad un ambiguo monsignore dello Ior (Ciro Scalera, esperto attore teatrale, che a un certo punto dice: «Il nuovo Papa ci spaventa tutti », e immaginate di chi parla?). Per un suo affare chiaramente loschissimo, l’avvocato Spadaro ha bisogno di uno strumento inconsapevole, un capro espiatorio, un tipo dalla coscienza immacolata, ingenuo e manovrabile. Lo trova in Michele (Matteo Pianezzi, aria perfetta da bravo ragazzo), uno dei tanti giovani in cerca di futuro, un laureato in legge che però digitalizza documenti e, come aggiunta, deve occuparsi di una madre malata di mente (l’inquietante Elisabetta De Vito). Spadaro, dopo aver preso tutte le informazioni su di lui, finge di incontrare casualmente Michele, lo convoca nel suo ufficio, lo assume seduta stante e gli fa intravedere un radioso futuro professionale. Per ora lo storia è questa, un promettente prologo che presenta i personaggi. Ma nelle tre puntate ci sono frammenti di altre storie (la moglie dell’avvocanto e una figlia con problemi genetici, qualcuno prigioniero di un manicomio, le strane visioni della madre di Michele), Spadaro appare ambiguo e contraddittorio, Michele forse troppo buono per essere vero, l’atmosfera è raggelata e inquietante, gli elementi thriller (denaro, potere, complotto, plagio, follia) sono già tutti lì, ancora tra parentesi, pronti ad esplodere. Vale la pena di diventare Sìsara dipendenti, anche se il prezzo da pagare è quello dell’attesa.

SÌSARA (2015)

 

PSICANALISI DEL POTERE: INTERVISTA A PATRIZIO TRECCA

sisaraNato a Roma nel 1985, Patrizio Trecca ha studiato cinema al DAMS di Roma e all’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna. Nel 2009 frequenta i corsi di regia e sceneggiatura alla University of California di Los Angeles (UCLA). Nel 2012 dirige il suo primo film, Luigi Tenco: io sono uno, con Vinicio Marchioni e Andrea Gattinoni (poi protagonista del suo corto Io e l’altro, del 2012, ed ora di Sìsara), ancora in attesa di distribuzione. Sempre a partire dal 2012 lavora per la Tauron Entertainment di Paolo Zanotti, scrivendo e dirigendo web serie e svolgendo il ruolo di direttore artistico. Ha diretto e scritto con Debora Valentini Sìsara, web serie in 15 episodi, che ha vinto il Best Amets al Bilbao Web Fest ed è in gara in diversi festival internazionali (Rio, Miami, Brooklyn). Ora sta lavorando al pilot di una nuova web serie, Timeline e a diversi progetti per il web e per la sala.

Per ora, dopo appena tre puntate, definirei Sìsara, un “affascinante e promettente mistero”. Puoi, senza entrare nei particolari e togliere la sorpresa, diradare un po’ la nebbia e farci capire quel che ci aspetta?

Posso solo dirti, senza svelare nulla, che nelle prossime puntate, in rete a partire da gennaio, il ritmo si farà sempre più concitato e la trama sarà piena di sorprese. Sìsara è un thriller psicologico, perché sono da sempre molto interessato alla psicoanalisi, ma anche ben radicato dentro la realtà in cui viviamo, per cui è anche un’opera di forte denuncia. Come modelli ideali potrei citare Wall Street, perché anche qui c’è il rapporto fra un uomo potente pieno di fascino e un giovane ingenuo che viene “educato”, ma anche La trilogia di New York di Paul Auster, per la sua ambientazione allucinata e claustrofobia. È fiction, naturalmente, ma tutti i personaggi rispecchiano persone reali che ho incontrato ed esperienze che ho vissuto in prima persona. Io sono convinto che non puoi raccontare ciò che non conosci.

Questo vale anche per il Vaticano e per lo Ior?

Dalla quinta elementare alla terza media sono stato uno dei bambini del coro della Cappella Sistina, il “coro del Papa”. Cantavo cori gregoriani, ho studiato anche solfeggio e la mia ipotetica carriera sarebbe stata da tenore, se non avessi scoperto una mia naturale ritrosia nei confronti dell’esibizione pubblica. Non dico che in quegli anni avessi la consapevolezza dei fatti poi emersi con gli scandali di cui continua ad occuparsi la cronaca, però in Vaticano si respirava una certa aria, si sussurravano certe storie, sfioravi un’idea di potere, politico ed economico, ti scontravi con leggi ferree che non riuscivi a capire. Io ho smesso e rifiutato di partecipare ad un tour in Giappone, quando il nostro maestro di canto Domenico Bartolucci, che per me è stato anche uno dei miei maestri di vita, è stato rimosso di punto in bianco, perché ritenuto troppo “sovversivo”. Anche Spadaro nasce da qualcuno che ho conosciuto realmente, anche se il personaggio è assai più complesso e affascinante rispetto all’originale.

vinicio marchioniHai compiuto un percorso un po’ opposto rispetto a molti giovani autori con cui ho parlato: di solito si comincia nella “nicchia” del web e poi, se va bene, si approda al grande schermo. Tu invece hai debuttato con un lungometraggio e solo ora scrivi e dirigi per il web. Che è successo?

Luigi Tenco: io sono uno è stato un progetto fortunato, partito sotto i migliori auspici. Sempre per la mia passione da analista mancato, sono sempre stato affascinato da Tenco, la sua musica, la sua storia. Ho lavorato al film dopo l’Accademia di Bologna, trovato un produttore, una possibile distribuzione home video con Rai Trade, perfino il contributo del Ministero dei Beni Culturali, l’appoggio dei parenti del cantautore che hanno apprezzato la mia idea di raccontare l’uomo Tenco e non la sua immagine stereotipata da rotocalco, e trovato infine due ottimi attori: Vinicio Marchioni, che interpreta il protagonista, e Andrea Gattinoni, che è il giornalista che lo intervista e lo racconta. Poi, al momento di uscire in sala, ho scoperto che il produttore non aveva pagato i diritti per l’uso delle canzoni. Film bloccato e procedure legali senza fine. Ora spero nel 2017, data chiave, a cinquant’anni dal suo suicidio. Anche per Sìsara abbiamo cercato una strada “tradizionale”: la sceneggiatura è stata infatti riscritta in formato televisivo e l’abbiamo presentata alla Rai. Parevano interessati, ma quando hanno scoperto che si parlava di Vaticano e Ior, e non certo in senso positivo, hanno fatto marcia indietro. Per cui: viva il web. Che è uno spazio creativo e produttivo libero, che mi permette di raccontare le storie senza censure e senza compromessi.

E a questo punto entra in gioco la Tauron. Com’è iniziato il vostro rapporto?

Paolo Zanotti faceva l’imprenditore fornendo servizi audiovisivi per il cinema. Si è lasciato convincere e nel 2012 è iniziata l’avventura Tauron Entertainment. Secondo me l’idea importate di Tauron è che ha sdoganato il web, trasformandolo da uno spazio dove spesso regnano l’artigianato e l’autoproduzione in un vero e proprio nuovo media, dove si può produrre in modo professionale, coi giusti mezzi e un ragionevole budget, e le opere sono sostenute, perché, come sta accadendo con Sìsara, possano entrare nel circuito dei festival internazionali, facendosi conoscere, ponendo le basi per ulteriori progetti in collaborazione con nuovi partner.

Con Tauron hai già altri progetti?

Molteplici, in verità. In questo momento, oltre a occuparmi delle altre puntate di Sìsara, e anche di una possibile seconda stagione, sto finendo il pilot di una nuova serie che si chiama Timeline, un ottimo esempio della “politica produttiva” della Tauron. La serie nasce da un bando della Regione Lazio, un concorso per sceneggiature che prevedeva anche il rapporto diretto fra l’autore vincitore e una casa di produzione. Per cui io sono solo il regista, anche se ho collaborato alla stesura finale della sceneggiatura. Al centro della storia c’è la caccia ad una chiavetta USB, che permette il controllo dell’economia mondiale. È una spy story sui temi molto attuali del controllo globale e del potere finanziario occulto. L’idea è di presentare il pilot e poi collaborare con una major per la serie.

Nessuna intenzione di ripercorrere l’itinerario dal web alla sala?

In realtà, nonostante in questo periodo abbia già parecchio da fare, mi sto mentalmente smarrendo in un’altra storia psicoanalitica, che mi affascina parecchio. Tema: curare le fobie con la privazione del sonno. Ha basi scientifiche, però per arrivarci in fondo devo ancora studiare parecchio. Nel frattempo ho scritto la sceneggiatura di un film, che si intitola Per Elisa, ma non ha nulla a che fare con Beethoven. Stavolta non è un thriller, non denuncio nulla, non scomodo né Freud né Jung. È una storia d’amore, tragica e semplice. Ogni tanto mi piace essere romantico.