Zheng Kai, la nuova stella del cinema cinese: «Grazie a Shadow la mia carriera è decollata»

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Più che astro nascente, Zheng Kai ormai è una conferma del cinema cinese. Ecco perché è stato scelto di recente come conduttore del 3° Macao International Film Festival, appena concluso. Sul palco ha tenuto testa persino a Nicolas Cage, anche se ammette di non sentirsi minimamente a suo agio sul red carpet. Non solo attore, ma anche produttore e cantante, il 32enne è il re senza scrupoli di Shadow, presentato fuori concorso alla scorsa Biennale e ambientato nell’epoca dei Tre Regni.

Se il suo viso vi suona familiare, avete ragione: era accanto a Matt Damon e Willem Dafoe in The Great Wall, lavoro precedente del regista Yimou Zhang, che lo dirige anche stavolta. Del protagonista di Genio Ribelle però ricorda soprattutto la traversata oceanica per le extension richieste dal ruolo. Pare infatti facesse su e giù dall’Inghilterra per mettere e togliere le ciocche posticce. Aneddoti a parte, si vede che il giovane artista mira ad Hollywood ma soprattutto ad espandere i suoi orizzonti: parla un inglese perfetto, abbraccia le consuetudini occidentali e si prodiga per uscire dai confini del cinema nazionale.

Cosa le resta di Shadow?

Mi piace pensare che, anche se storie ambientate in quel periodo storico sono diffuse in Cina, Shadow rappresenta una corte realistica, un sovrano diverso dai precedenti e per niente shakespeariano. Il 90% delle scene che lo coinvolgono sono ambientate a palazzo, a casa sua, insomma, dove lo vediamo fare quello che vuole. Se ne va in giro senza scarpe e si concede il lusso non solo di avere il controllo ma di perderlo.

Cosa farebbe lei se fosse re per un giorno?

Me ne starei a poltrire a letto con un bicchiere di whisky.

Niente ambizioni di conquista, quindi? Però su Hollywood di mire “espansionistiche” ne ha eccome…

Ci ha visto giusto, voglio avere più sfide cinematografiche in occidente e ho una lista pressoché infinita di registi con cui vorrei lavorare.

Ne nomini almeno un paio.

In cima alla lista ci sono Steven Spielberg e Christopher Nolan.

Nutre qualche desiderio di far parte di franchise storici, da 007 a Star Wars?

Fin da bambino sono fan di Transformers ed Harry Potter.

Sarebbe mago o babbano?
Nessuna delle due: vorrei essere il Boccino d’oro, sfrecciare sul campo da Quidditch. Dopo tutto non è l’oggetto dei desideri che tutti cercano d’inseguire e conquistare?

Il panorama cinematografico si sta espandendo anche grazie a piattaforme come Netflix. Lei cosa ne pensa?

In realtà sono già in trattative con Netflix per un nuovo progetto, avendone già prodotto e interpretato uno. Sono consapevole che offre orizzonti più ampi ed è quello che cerco, non solo in termini di budget ma soprattutto grazie alla possibilità di far vedere il proprio lavoro ad un pubblico più ampio possibile.

Qual è la sua maggiore qualità?
Sono uno che si rimbocca le maniche e si dà da fare, agisco prima ancora di pensare, sono diretto e non mollo facilmente. Il che, lo ammetto, a volte può essere un difetto perché parto spedito per la mia strada senza guardare chi ho intorno.

Come trascorrerà le prossime feste?
In Cina siamo abituati a cene numerose, ho sei zie – per non contare i cugini – e durante la cena di Capodanno i bambini si esibiscono con canti e poesie. È nata lì la mia passione per l’arte, ero un bambino felice che aveva scoperto presto cosa fare da grande.

Ha mai avuto cambi di rotta?
Certo: sono passato per la fase dell’avvocato, dell’architetto e dell’ingegnere ma poi a 18 anni al college mi sono orientato verso la recitazione in maniera seria.

Qualche strano incontro con i fan?
La cosa più strana riguarda le strette di mano, che spesso sono umide ma lo capisco: anch’io mi agito quando incontro i miei miti, quindi capisco cosa voglia dire sudare per l’agitazione.

Una richiesta del pubblico a cui si sottrae volentieri?
Gli autografi sulla pelle non li capisco proprio. Possibile che al giorno d’oggi nell’epoca degli smartphone nessuno abbia più a portata di mano carta e penna?

Alessandra De Tommasi