Russell Crowe: «Ogni ruolo è una sfida, Cinderella Man il film più difficile»

L'attore ha partecipato ad una masterclass all'Auditorium della Conciliazione aperta alle scuole di cinema e al pubblico

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Russell Crowe è stato ospite della XX edizione di Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata agli esordi, al talento e ai più giovani. Dopo essere stato insignito ieri del titolo di Ambasciatore di Roma nel Mondo in Campidoglio, oggi l’attore ha ritirato il Premio Speciale ed ha partecipato ad una masterclass all’Auditorium della Conciliazione aperta alle scuole di cinema e al pubblico.

Il suo ingresso è stato trionfale, da vero Gladiatore, con un urlo liberatorio che ha sorpreso tutto il pubblico e ha dato il via a una serie di momenti inaspettati che non si aspettava nessuno. Crowe si è alzato in piedi mettendo le cose subito in chiaro: sarebbe stato lui, in maniera diretta e senza moderatore, a rispondere alle domande di soli studenti di cinema passeggiando per la sala. La prima parte del discorso è stata sui suoi esordi ribadendo che la sua terra di origine non è l’Australia ma la Nuova Zelanda:

«Sono nato a Wellington, ho cominciato a recitare all’età di sei anni. Mia madre si occupava dei catering dei set cinematografici: un giorno vado a trovarla al lavoro e sono stato messo in mezzo perchè mancavano dei bambini per la serie Spy Force. Da quel momento non mi sono più fermato, ho iniziato un viaggio che continua oggi all’età di 58 anni. Non ho mai seguito una scuola di recitazione, il lavoro l’ho imparato sul campo. A 14 anni ho iniziato a suonare in una band, la musica è una mia passione ma non mi permette di pagare le bollette, chi dice che si può fare una cosa sola nella vita sbaglia. Non c’è nessun coraggio a stare seduto sul divano ad aspettare che il mondo bussa alla tua porta. Voi siete carichi di passioni, di interesse e di energia, non sprecatela, convogliatela verso quello che vi piace. Il mio primo film l’ho girato quando avevo 25 anni ma prima di allora avevo fatto circa 2.000 performance dal vivo, tra teatro e musica, e nel frattempo svolgevo anche molti altri lavori, da barman a dj. Dopo tutta questa fatica sono entrato nel mondo del cinema: è stato un sogno che si è realizzato, un desiderio che bruciava dentro di me, ma che ho sempre tenuto nascosto. La battuta che faccio sempre è: ′Non sono un bambino prodigio, sono un bambino comparsa′».

Spazio poi agli aneddoti sui suoi film più importanti:

«Ogni singolo ruolo che fai è una sfida, da un punto di visita psicologico, tra le mie performance preferite il mio ruolo in A Beautiful Mind è quello che mi ha fatto impazzire di più. Abbiamo rappresentato gli aspetti fisici della patologia, con i vari tic che si sviluppavano, fino ai 16 che il protagonista aveva contemporaneamente. Da un punto di vista fisico Cinderella Man è stato il film più difficile. Abbiamo girato per sette settimane di cui 36 giorni sotto la pioggia di scena, mi ricordo che era inverno e l’acqua che mi veniva gettata era molto fredda. Les Miserables è stata una delle più grandi esperienze della mia vita, andare sul set per cantare e recitare le cose che amo di più con degli attori e compagni di set importanti come Hugh (Jackman), Anne (Hathaway) e Samantha (Barks) è stato fantastico. Poi però quando ho visto il montaggio finale alla première, a metà film sono andato via: quello che è stato fatto in post produzione al mio personaggio non è stato granché. Il film è bellissimo, ma è stata una delusione quello che hanno messo di me nel film. Sono tornato a casa deluso perché non è stata inserita l’esperienza che io avevo messo sul set».

Non poteva mancare un riferimento a uno dei suoi film più importanti: Il Gladiatore del 2000 diretto da Ridley Scott:

«All’inizio delle riprese de Il gladiatore, Joaquin Phoenix venne sul set per provare i costumi e dopo aver visto i vestiti disse al regista: ‘Che cavolo sto facendo qui? Ridley credo che qualcuno abbia fatto un errore, non sono nel posto giusto, ho visto i costumi, sono un ragazzino che viene della Florida, vestirmi con quel costume da gelataio a salutare le persone non è per me. Non so nemmeno cosa ci faccio qui’. Ci è voluta mezza giornata per tranquillizzarlo e toglierli quell’insicurezza. Poi lui ci ha regalato quella performance pazzesca e ce l’ha fatta».

A chi gli chiede cosa cerca in una sceneggiatura risponde:

«Io amo i dialoghi e mi innamoro della battute che devo recitare. Non necessariamente devo interpretare il ruolo del protagonista, basterebbero anche due battute, purché ben scritte. Il cinema è un mezzo di narrazione, si raccontano le storie e io sono uno che per il dialogo si vende. Non ambisco ad avere un ruolo che invece è andato a un altro collega o essere il millesimo attore che fa Shakespeare. Preferisco fare una cosa per la prima volta, forse è un segno di totale arroganza, è il mio ego spropositato ma io sono così. Un po’ di ego serve a un attore per autoprotezione perché nel nostro lavoro ci sono tanti rifiuti. Su un set dovete fare quello che il regista vi chiede».