SHTTL, il regista: «La pellicola si basa su fatti storici, ma funziona come un simbolo (in movimento) della Shoah»

Il film è girato in un unico, ambiziosissimo, piano sequenza

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Presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma SHTTL diretto da Ady Walter con Moshe Lobel, Saul Rubinek, Eli Rosen, Valeria Shpak, Antoine Millet. Il film è girato in un unico, ambiziosissimo piano sequenza allo scopo di calare lo spettatore dentro la realtà di un mondo ebraico sull’orlo della tragedia, tra ricostruzione filologica e allusione al presente. A parlare yiddish è un cast internazionale, tra cui Saul Rubinek (Gli spietati), che recita per la prima volta in questa lingua. Il villaggio è stato interamente ricostruito a 60 km da Kyiv, con l’intenzione di diventare, dopo le riprese, un museo a cielo aperto.

Il regista nelle note di regia sottolinea:

«La storia di SHTTL è stata pensata per essere narrata in un “flusso di coscienza”. A differenza di alcuni film girati con un solo piano sequenza. SHTTL non è in tempo reale, ma è composto da diversi piani sequenza montati insieme senza soluzione di continuità. La pellicola si basa su fatti storici, ma funziona come un simbolo (in movimento) della Shoah. In lingua yiddish “shtetl” significa “villaggio”. Allora perchè SHTTL? Nel 1969 Georges Perec, la cui madre morì ad Auschwitz, pubblicò “La scomparsa”, un romanzo in cui la lettera “E” non compare mai. Questa assenza segna una mancanza, uno spazio vuoto, una vertigine, una voragine aperta. SHTTL rende omaggio a questo libro eliminando la stessa lettera».

In conferenza stampa Ady Walter ha aggiunto:

«Ho avuto la fortuna che il mio produttore accettasse l’idea pazza di girare tutto il film in quella modalità. Tra le pellicole che hanno influenzato la mia carriera posso citare sicuramente un lungometraggio di Aleksandr Sokurov, l’Arca Russa, che ho visto quando avevo 15 anni. Questo film è anche una dichiarazione d’amore verso il cinema. Il casting è stato molto lungo, il requisito fondamentale era che gli attori parlassero la lingua  yiddish.».

 

SINOSSI

1941: il giovane Mendele è entusiasta di lavorare nel cinema a Odessa, ma torna nel suo paese (shtetl, in yiddish) in Ucraina, al confine con la Polonia, dove il suo amore di sempre sta per sposare il figlio del Rabbino. E questo il giorno prima dell’invasione nazista. L’esordiente argentino Ady Walter usa il pianosequenza e il bianco e nero (anche se la continuità spaziotemporale è infranta da flashback a colori) come strumenti per calare lo spettatore dentro la realtà di un mondo ebraico sull’orlo della tragedia, tra ricostruzione filologica e allusione al presente. A parlare yiddish è un cast internazionale, tra cui Saul Rubinek (Gli spietati), che recita per la prima volta in questa lingua. Il villaggio è stato interamente ricostruito a sessanta chilometri da Kyiv, con l’intenzione di diventare, dopo le riprese, un museo a cielo aperto. La grafia del titolo è un omaggio al romanzo La sparizione di Georges Perec, dove scompare la lettera “e”, per alludere a un altro vuoto.